Storia allegra di ceffoni e di una nuova amicizia
Le tragicomiche avventure di GC
(enm) Abbiamo già visto come Gino Ciarconazzi si fosse liberato delle sue racchette regalandole ai ragazzi del suo club. Si trattava di uno stock di circa venti pezzi praticamente nuovi, che avrebbe benissimo potuto vendere d’occasione, ma il Gino, persona di buon cuore, non ci pensò nemmeno. Aveva notato come parecchi giovani giocassero con racchette storte, a volta rotte, e credette opportuno offrire loro la possibilità di misurarsi ad armi pari con i compagni più abbienti. Effettuata la distribuzione du ringraziato nei dovuti modi dai beneficati, e gli fece piacere constatare che la gratitudine non è una prerogativa degli anziani bene educati. Solo uno gli chiese se potesse far aggiustare la racchetta a lui destinata perché una corda stava rompendosi e non aveva i soldi per la riparazione. GC restò talmente allibito che, prima di rendersi conto dell’enormità della richiesta, aveva già ritirato la racchetta per farla riparare a sue spese. L’attrezzo gli fu riconsegnato tre giorni dopo dietro pagamento di 4 franchi e lui, ricordando di aver visto il ragazzino mangiarsi 8 franchi di gelato in un pomeriggio, non poté fare a meno di pensare alla stranezza del genere umano. Sorrise dentro di sé, e si consolò pensando che, in fondo, non tutti erano così.
Ciò non gli impedì però d’irritarsi un po’ quando il mangiatore di gelati gli si parò davanti sollecitandogli la consegna della racchetta come se la stessa gli appartenesse ormai di diritto. Tuttavia, ancora una volta, lasciò perdere ed entrò nel bar a bersi un caffè. E qui l’attendeva un’altra sorpresa. All’esterno sei campi vuoti, all’interno quattro ragazzini intenti a giocare a carte e, su una sedia, quattro delle «sue» racchette. Uno del gruppo alzò la testa e, previo aver detto: «Cip!» ai compagni, si rivolse a lui chiedendogli se non avesse una scatola di palle da regalare loro per giocare. Il Gino, che di poker non capiva niente, credette che «Cip» fosse un soprannome rivolto a lui e si seccò. Fece loro una ramanzina sottolineando il rispetto dovuto agli adulti poi, ritenendo di essere stato abbastanza severo, diede una scatola di palle ai quattro giovani che lo presero per deficiente e si rimisero a giocare a carte. Sempre più meravigliato, Ciarconazzi fece: «E al tennis non giocate, adesso che avete le palline?». «No – fu la risposta – due di noi devono andare a casa, mentre io e lui ci siamo iscritti in doppio con lei alle cinque». «Sentite – riprese GC – sono due mesi che cerco di fare un singolare con il Bernasconi. Non potreste lasciarci giocare in due, per favore?». «Noi – protestò il più giovane – abbiamo diritto di giocare fino alle sei, e poi dobbiamo allenarci per i Campionati Juniores. Se non le va, può rinunciare lei». Il Gino restò un po’ male. Telefonò al Bernasconi, il quale si disse disposto a fare il doppio, piuttosto che rinunciare a giocare. Così entrarono in campo alle cinque.
Fecero un po’ di palleggio, quindi iniziarono la partita: adulti contro giovani. I due anziani vinsero facilmente il primo set poi, nel secondo, sul quattro a zero il Ciarconazzi si stortò leggermente una caviglia e cominciò a zoppicare. Il più piccolo cominciò allora una sequela di smorzate e pallonetti su di lui, deridendolo apertamente quando non arrivava in tempo sulla palla. Ciarconazzi e Bernasconi vinsero lo stesso la seconda partita e il «tappetto», dalla rabbia fracassò per terra la racchetta. Il Gino cominciava ad arrabbiarsi, ma si tratteneva ancora. Siccome avevano ancora un po’ di tempo, decisero di cambiare le coppie: Bernasconi avrebbe giocato con il «grandicello» e Ciarconazzi con il «piccoletto». Quest’ultimo, con un primo servizio particolarmente forte, mandò la palla a sbattere di tutta forza contro un orecchio del Gino che stava a rete. Urlando di dolore, GC si voltò con astio verso il «partner». Osservandolo sbellicarsi dalle risate, vide rosso. Ululando come un coyote gli si avventò addosso, lo sollevò per i capelli e gli mollò una serie di sberle, una più sonora dell’altra. Quindi gli prese la racchetta e, sia pure cacciando un grido di dolore, riuscì a romperla in due pezzi facendo leva su un ginocchio. Con il manico rimastogli in mano cominciò a vibrare legnate sul groppone del «tappetto» il quale, piangente, si dette alla fuga sempre inseguito dal Gino che riuscì a rifilargli due calcioni nel fondo schiena prima di arrivare al «club house». Giunti lì, il padre della vittima tentò di intervenire, ma fu steso da un diretto che fece incrinare due falangi al Ciarconazzi, ormai fuori di sé. Dovettero tenerlo in tre finché, a poco a poco, smise di dibattersi e smaniare. Allora lo portarono al Pronto soccorso dove gli ingessarono le due dita incrinate e gli curarono la caviglia stortata che adesso, a freddo, gli faceva un male del diavolo. Sul ginocchio, contuso rompendo la racchetta, applicarono un unguento, mentre nell’orecchio versarono alcune gocce di anestetico. Poi gli fecero ingoiare 10 milligrammi di «Valium» e lo mandarono a casa.
Il giorno dopo venne a sapere da alcuni amici che si stavano facendo i passi necessari per depositare una denuncia penale nei suoi confronti, e gli venne consigliato di parlare al padre del ragazzo, al fine di evitare complicazioni. Riconoscendo la validità del consiglio, calpestò il proprio orgoglio e fece una telefonata prendendo appuntamento con il genitore. Costui, che in fondo era un buon diavolaccio, lo ricevette e lo fece accomodare, aprendo una bottiglia di «scotch». Ascoltate le ragioni del Ciarconazzi, si disse disposto a lasciar perdere la denuncia e versò una seconda volta da bere. Mentre il whisky diminuiva a vista d’occhio, dichiarò che il Gino aveva delle grandi «sventole» che potevano darsi del tu, che avrebbero giocato assieme a tennis sabato e domenica e che suo figlio aveva torto. Anzi, per dimostrarglielo, lo chiamò, lo sgridò e gli diede due ceffoni. Ma a questo punto, il Gino si sentì in dovere di prendere le difese del ragazzo e, senza rendersi conto della stranezza della situazione, raccomandò al padre di non esagerare, che dopotutto non era successo niente di grave. Poi, promise al «tappetto» che gli avrebbe regalato un’altra racchetta e propose un altro brindisi. La serata finì allegramente fra due uomini che scoprirono di avere molti punti in comune. GC rientrò a casa felice per la nuova amicizia, cantando una canzonetta un po’ triviale.
Sul comodino, la moglie gli aveva messo il flaconcino del «Valium». Lui lo prese e andò a vuotarlo nel gabinetto. Ormai non ne aveva più bisogno.