Prima i nostri: la legge lascia spazio di manovra, il partito preso no!
Dapprima fu il rifiuto aprioristico totale, “a sa poo mia”. E basta! Poi, una perizia nella quale l’autore, seppur dando il contentino al committente Consiglio di Stato dicendo che gli spazi d’applicazione erano limitati, dava per ricevibile l’iniziativa “Prima i nostri!”, in quanto perfettamente compatibile con la Costituzione federale. Il che sconfessava il parere del governo, e la maggioranza del Gran Consiglio dovette dichiararne la ricevibilità. Lo fece “molto obtorto collo”, dichiarando urbi et orbi che, nonostante la sua compatibilità con la Costituzione federale sulla carta, in pratica non sarebbe stata applicabile perché in contrasto con l’accordo di libera circolazione con l’UE.
Contro il parere dell’UDC, che avrebbe voluto affidare la redazione del testo d’applicazione dell’iniziativa al Consiglio di Stato – come è normalmente la prassi – nel caso specifico coadiuvato da un gruppo di lavoro esterno, la maggioranza del Gran Consiglio decise di incaricare una commissione speciale ad hoc, dandone la presidenza al capogruppo UDC Gabriele Pinoja. In quell’occasione si sprecarono promesse e rassicurazioni: elaborate un progetto di legge, e noi lo accetteremo, ci si diceva.
La commissione, vista la complessità del tema, decise di suddividerlo in diverse parti seppure raggruppate in un unico rapporto. Partendo da quelle per le quali l’applicazione della preferenza indigena può essere adottata senza problemi particolari – settore pubblico e parapubblico, nonché aziende dipendenti da commesse pubbliche – concentrando l’applicazione nel privato in una iniziativa generica volta a elaborare un’apposita legge. E proprio contro quest’ultima si è eretto un muro da far invidia a Donald Trump. A parte la Lega, tutte le forze politiche presenti in parlamento si sono unite in un unico partito: il partito preso. Preso dall’opera di convincimento su se stessi e sugli altri, che dal fronte di destra non può uscire nulla di buono, salvo però mangiarsi le unghie recriminando per aver mancato di pensarci loro.
Si poneva però un problema non da poco: l’iniziativa “Prima i nostri!” è stata fortemente voluta dal popolo, quello stesso popolo che, ahimè, costituisce anche il bacino elettorale indispensabile a ogni partito e ai politici per svolgere la loro attività – sia essa governare, legiferare o, come sembra purtroppo essere ultimamente di moda, anche imbrattarsi adeguatamente le dita di marmellata. E allora, come conciliare la smania di dire NO a UDC e Lega, non alienandosi nel contempo il consenso sempre imprevedibile del popolo, le cui sofferenze impostegli dalla libera circolazione delle persone sono sotto gli occhi di tutti? Credo che i parlamentari ticinesi siano ormai maturi per proporre l’arrampicata sugli specchi quale disciplina olimpica e, a giudicare dal livello d’assurdità raggiunto de certe recenti mozioni, non escludo che qualcuno stia già elaborando una richiesta in tal senso al CIO. La legge proposta è inapplicabile? E chi lo dice? Il diritto superiore. Ma il diritto superiore alla Costituzione cantonale – che nel frattempo ha ricevuto la garanzia federale proprio perché conforme – è la Costituzione federale la quale, nell’articolo 121a inserito a seguito della decisione del sovrano del 9 febbraio 2014, dà la base legale alla modifica costituzionale cantonale voluta da Prima i nostri. Il primato degli accordi internazionali – nella fattispecie la famigerata libera circolazione delle persone con l’UE – sulla Costituzione federale non è stabilito dal diritto svizzero, bensì solo, e a mio avviso del tutto arbitrariamente, dal Tribunale federale. E le decisioni di quest’ultimo, come detto sopra, sono ben lungi dall’essere univoche e coerenti. Che la nostra (purtroppo) massima autorità giudiziaria manterrebbe lo stesso metro di misura nel pronunciare future sentenze in caso di ricorsi, è quindi ancora tutto da dimostrare. L’ottimo intervento in aula della nostra deputata Lara Filippini (pubblicato nell’ultimo numero) faceva proprio leva sulla contraddittorietà di certe sentenze e relative motivazioni emesse in passato dal Tribunale federale, sottolineando il fatto che al Parlamento cantonale compete emettere le leggi – quando queste non ledono le norme costituzionali – non mettersi nei panni del potere giuridico decidendone a priori l’applicabilità in singoli casi di ricorso, per il momento comunque solo potenziali.
Questo era ed è lo spazio di manovra del quale il Gran Consiglio avrebbe dovuto approfittare, non dare per scontato che i disoccupati ticinesi devono rassegnarsi a farsi martellare i gioielli di famiglia. Da notare poi che, questo stesso Gran Consiglio non aveva esitato in precedenza ad approvare l’iniziativa di Giorgio Fonio – altrettanto contrastante con la libera circolazione delle persone – volta a subordinare il rilascio dei permessi di lavoro a una verifica sistematica dell’applicazione delle norme dei CCL. Per la cronaca, l’iniziativa è stata accettata anche grazie al voto del nostro gruppo, che evidentemente non soffre di preconcetti particolari nei confronti degli altri gruppi politici.
C’è da sottolineare poi, per chi pensa che “Prima i nostri!” sia stato un esercizio inutile, che comunque una decina dei campi d’applicazione nel pubblico e nel parapubblico sono stati o saranno approvati dal Parlamento cantonale. Anche qui si è voluto subdolamente banalizzare dicendo che, in fin dei conti, era già prassi usuale, che le misure proposte erano già adottate ma, a parte la non comprovata veridicità di queste affermazioni, resta il fatto che adesso ci sarà una base legale dalla quale non si potrà prescindere. Almeno nel pubblico e nel parapubblico la preferenza indigena è una realtà.
Resta comunque un’ultima non irrilevante domanda: la riuscita di un’iniziativa popolare generica esige che qualcuno (CdS, commissione parlamentare) elabori un testo conforme che dovrà essere licenziato dal Gran Consiglio. Quando arriverà adesso questo testo conforme? E sarà veramente conforme? Non aver preso la palla al balzo con la proposta della commissione ad hoc potrebbe rivelarsi controproducente.
“Dove osano le aquile” era il titolo di un bel film di guerra degli anni sessanta, un inno al coraggio, all’astuzia e all’intelligenza. Sono passati 50 anni, e l’aquila, purtroppo, si dice sia un animale in via d’estinzione. Estinzione apparentemente già avvenuta nel Palazzo delle Orsoline dove il termine “osare” pare essere tabù.
« Schutz der Menschen in der Schweiz hat immer erste Priorität Prima i nostri: Das Gesetz lässt genügend Gestaltungsspielraum zu, die vorgefasste Meinung keinen »