Ma chi li vuole ricuperare?
Personalmente non ho mai nascosto la mia propensione alla pena di morte per i casi di crimini particolarmente efferati. A condizione – ho sempre specificato – che si sia in presenza di una flagranza di reato, di una confessione o comunque di prove inoppugnabili. L’irreversibilità della pena non deve permettere infatti il rischio di un errore giudiziario. La mia tesi si basa sul fatto che, non essendo io soggetto ad alcun credo religioso, per me la sacralità della vita umana ha dei limiti. A mio avviso non è altro che una parte del contratto sociale su cui si basa tutto il nostro apparato giuridico: io non dò una legnata a te, tu ti impegni a fare lo stesso con me, e tutti viviamo in una società di civile convivenza. E per far sì che l’impegno sia il più possibile rispettato, ci siamo dotati di leggi e di sanzioni. Ma il rispetto della vita umana, nella fattispecie la nostra, dobbiamo meritarcelo con il nostro comportamento. In altre parole, finché non mi metto a tirare legnate a destra e a manca, ho il diritto di altrettanto non essere preso a legnate, ma se trasgredisco a questa regola… le leggi e le sanzioni non devono essere applicate con un’interpretazione benevola nei miei riguardi, bensì solo e unicamente nei confronti delle vittime.
Purtroppo, in particolare negli ultimi decenni durante i quali ci si è intrisi di inutile, o addirittura colpevole buonismo, la cosa è totalmente sfuggita a qualsiasi controllo. E allora si assiste a spettacoli indecorosi quali il mantenimento del cosiddetto “Carlos” in un appartamento di quattro locali e mezzo a Zurigo, attorniato da uno staff di assistenti e psichiatri, il tutto per la modica somma di 29’000 franchi al mese, o alle uscite con fermata all’emporio per acquistare un coltello con cui uccidere la disgraziata assistente incaricata di accompagnare Fabrice Anthamatten alle sedute di ippoterapia. Oppure ancora al recente decreto del Tribunale federale che ha accettato il ricorso dell’assassino di Lucie, annullando la sentenza in seconda istanza del Tribunale cantonale argoviese che gli aveva comminato l’internamento a vita. Nessuna delle perizie psichiatriche – dice il Tribunale federale – ha potuto stabilire che l’uomo fosse incurabile vita natural durante e non sono quindi soddisfatte le condizioni per l’internamento.
A questo punto non possono non sorgere delle domande. Capo primo, in virtù dei continui progressi della scienza, nessuno potrà mai dire che una persona sia “incurabile vita natural durante”, quindi il Tribunale federale è implicitamente pronto a dichiarare non valida qualsiasi sentenza d’internamento a vita. Alla faccia di un’iniziativa popolare che ha introdotto nella Costituzione federale l’apposito articolo 123a. In secondo luogo, anche se potesse essere “guarito” – cosa di cui personalmente dubito – il reintegro di un tale criminale nella società non è di minimo giovamento per quest’ultima e, in ogni caso, non riparerà minimamente alle conseguenze letali provocate dal reato, in altre parole non ridarà la vita a Lucie né tantomeno allevierà il dolore della sua famiglia. Quindi, niente reintegro bensì esclusione per sempre dalla società. Sarò anche cinico, ma in casi di tale gravità il perdono lasciamolo a Dio, noi occupiamoci di cose per le quali siamo più competenti: la punizione rigorosa del colpevole, l’effetto il più possibile deterrente di detta punizione su eventuali altri malintenzionati, l’eliminazione più totale possibile della possibilità di recidiva. A me non dispiacerebbe nemmeno un po’ di “umana vendetta” ma mi rendo conto che questa non possa essere fra le motivazioni di quella che si vuole chiamare giustizia. Ma nemmeno, fra dette motivazioni, posso accettare la “comprensione e il perdono nei riguardi dei colpevoli”, che sembrano essere alla base dell’amministrazione di una giustizia che sta diventando sempre meno tale. A mio avviso, a reati con gravi conseguenze irreversibili (e, a parte il caso del biblico Lazzaro e di pochi altri, non c’è nulla di più irreversibile della morte) deve contrapporsi una pena altrettanto irreversibile: va bene, la pena di morte l’abbiamo abolita, ma il suo surrogato – l’internamento a vita senza se e senza ma – va applicato rigorosamente.
L’atteggiamento dei tribunali in genere – ma soprattutto del Tribunale federale nella fattispecie – lo interpreto come una sorta di “connivenza o complicità legali” con gli autori dei crimini, un insulto alla gente onesta e, soprattutto, alle vittime e ai loro famigliari.
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