Balletti e Wagner al Teatro Sociale di Como
Spazio musicale
Il 26 ottobre il Teatro Sociale di Como ha ospitato uno spettacolo di balletto con la Scuola di ballo Accademia Teatro alla Scala. Erano in programma “Sérénade” di Balanchine, “Gymnopédie” di Petit e il “divertissement” da “Paquita” di Petipa. Non è facile trovare la precisione, la leggerezza e la scioltezza occorrenti per Balanchine così come non è facile scandire le eleganti geometrie di Petit o dar vita alla brillantezza e al virtuosismo di Petipa. Mettere in scena con giovani leve balletti di così grande impegno è stato un atto coraggioso per non dire temerario. Lo spettacolo visto a Como ha messo in luce la buona qualità della scuola e un livello lodevole delle ballerine e dei ballerini. Ha d’altra parte mostrato che parecchio lavoro rimane da fare sia sul piano tecnico sia su quello interpretativo. Nella coda del passo a due da “Paquita” la ballerina si è distinta con una lunga serie di giri “fouettés” che hanno trascinato il pubblico. Il ballerino che ha danzato con lei, a sua volta, ha rivelato buone doti di elevazione e sicurezza negli atterraggi. Ma perchè il programma non ne ha indicato i nomi (e neppure per altra via sono riuscito a conoscerli)? Sarà che si è voluto mettere in rilievo soprattutto al scuola come tale. Però una compagnia si compone di individualità, ciascuna con abilità e talento particolare. Anzi, è proprio il compito di una scuola scoprire ed esaltare le virtù di ogni singolo elemento. Logico pertanto che in occasione di spettacoli si indichino i nomi. Le porte del teatro sono state aperte solo venti minuti prima dell’inizio dello spettacolo, con conseguente ingorgo alla biglietteria (alla Scala si apre tre quarti d’ora prima, all’Opernhaus di Zurigo un’ora). Intervallo interminabile.
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Il Corpo di ballo del Teatro Municipale di Kiev ha portato al Teatro Sociale di Como, il 5 novembre, una edizione a serata intera, però abbreviata e semplificata rispetto alle esecuzioni abituali, della “Bella addormentata”. Nel prologo non ci sono state le variazioni delle fate (tranne una, di modesta levatura, per la Fata dei lillà) e nel passo a due del terzo atto la ballerina non ha eseguito i famosi tuffi. In generale tutti gli interpreti hanno presentato una danza precisa, flessuosa, morbida e, per quanto concerne il corpo di ballo, esemplarmente disciplinata. D’altra parte sono mancate, con un paio di eccezioni di cui dirò, la leggerezza, la grinta e la rapidità di esecuzione delle figurazioni. Uno spettacolo un tantino molle, insomma. Il programma di sala è stato ancora una volta avarissimo di informazioni e non ha indicato neppure il nome del coreografo, anche se evidentemente si è attinto molto a Peitpa. La protagonista, forse Natalia Matsak, visto che il foglio distribuito agli spettatori la menziona come “étoile”, ma senza specificare se sosteneva la parte di Aurora, ha danzato correttamente. Deliziosa è stata nell’adagio della rosa. Poco importa se nell’ultima serie di equilibri non ha portato entrambe le braccia in quinta posizione quando passava da un cavaliere all’altro. Dicevo di due eccezioni. Una è quella dell’uccello azzurro, che nel “divertissement” dell’atto finale ha mostrato una purezza di linee, una eleganza e una capacità di elevazione notevoli. L’altra riguarda invece la ballerina che, nei panni di Carabosse, ha offerto la miglior caratterizzazione del personaggio che abbia mai visto. La sua parte non si è limitata a una gesticolazione rozza e grottesca, come avviene solitamente, ma è stata mimata con stile e in larga misura danzata. La ballerina (della quale citerei molto volentieri il nome se il taciturno programma lo avesse indicato) ha avvinto sotto l’uno e l’altro aspetto: precisa come un cronometro e perentoria nei gesti di cattiveria, velocissima e perfetta nella danza, in special modo nei giri irresistibili. Scene ultratradizionali, con fondali dipinti, e costumi sontuosissimi. Teatro gremito, successo caloroso.
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Ci voleva ardimento, da parte di un teatro di tradizione italiano, per allestire, con i tempi che corrono, un’opera di Wagner. Dalla prova il Teatro sociale di Como è uscito vittorioso. L’edizione del “Vascello fantasma” (“Der fliegende Holländer”) andata in scena il 21 novembre, con replica due giorni dopo, merita un caldo elogio. Ha destato ammirazione il direttore musicale Roman Brogli-Sacher, che da una compagine strumentale non abituata a eseguire partiture wagneriane (l’ottima, come sempre, Orchestra I pomeriggi musicali di Milano) ha saputo trarre una lettura aderente allo stile e ai contenuti del compositore tedesco. Inoltre ha fatto emergere quei valori morali che, già a partire dal “Vascello fantasma”, sono caratteristica inconfondibile di Wagner. Pochissime le riserve, e limitate all’ouverture: troppo massicci gli ottoni, piuttosto colloso, per eccesso di legato, il motivo della redenzione (“Erlösungsmotiv”) e l’intreccio di legni e corni che lo avvolgono. In palcoscenico Thomas Hall è stato un protagonista di classe. Possiede voce ampia, di bel timbro, estesa, capace sia di squillare negli acuti sia di sprofondare maestosamente nelle note gravi. Ha delineato un Olandese travagliato ma severo e dignitoso. Elena Nebera, l’interprete di Senta, dispone di mezzi morbidi e limpidi nei “piano”, un tantino aspri nei “forte”; il volume è relativamente piccolo, tuttavia gli acuti impetuosi e taglienti le consentono di imporsi nei momenti di grande tensione. Di lei si sono apprezzati soprattutto il trasporto e l’intensità delle passioni. Patrick Simper è stato un Daland vocalmente modesto eppure bravissimo nell’interpretazione del padre di Senta. Kor-Jan Dusseljee ha fatto di Erik un innamorato focosissimo, producendo alcuni momenti teatrali a effetto ma in contrasto con la natura prevalentemente lirica dello sfortunato fidanzato, che appare chiaramente dalle sue due arie (peraltro cantate assai bene). Inappuntabile il timoniere di Gabriele Mangione. Una prestazione maiuscola ha fornito il Coro AsLiCo, istruito da Antonio Greco.
Federico Grazzini, il regista, si è spinto alquanto in là nel calcare la mano sulla mediocrità di Daland e, come già detto, sull’impulsività di Erik, ma non si può parlare assolutamente di sconvolgimento. Il suo lavoro ha seguito personaggi e vicenda con grande fervore di idee ed efficacia. I costumi di Valeria Bettella e le scene di Andrea Belli hanno trasportato l’opera nel mondo contemporaneo, introducendo un discutibile aggancio realistico in una storia fantastica. Un grande contributo allo spettacolo è venuto dalle proiezioni sul fondale (videomaker Luca Scarsella) e dalle luci (Pasquale Mari).
Alla “prima” il pubblico era poco numeroso; se non ci fosse stata una consistente presenza ticinese si sarebbe arrischiato il forno: uno sgarbo della Città ai responsabili del suo teatro, il cui forte e lodevolissimo impegno avrebbe meritato maggior riconoscimento. Fa pena la strettezza di orizzonti di coloro i quali si scomodano solo per Verdi e Puccini. Compositori grandissimi, senza dubbio, però ce ne sono altri. Applausi sentitissimi.
Onore a Musica nel Mendrisiotto
Anche nel concerto pomeridiano del 3 novembre Musica nel Mendrisiotto ha mostrato di saper occupare un posto speciale tra le attività musicali ticinesi. L’impegno nel presentare musiche eseguite raramente si è manifestato includendo nel programma le Variazioni su un canto popolare slovacco H.378 di Martinu, che per molti ascoltatori ha costituito una sorpresa piacevole. Poi è venuta la Sonata per violoncello e pianoforte di Debussy. Su questa composizione Léon Vallas, nella sua biografia del compositore, scrisse osservazioni assai pertinenti. Ne cito alcune, attingendo alla traduzione di Wanda Lopez per l’editore Guanda: “Vi è una grazia d’altri tempi, con uno spirito ironico, sarcastico, cioè burlesco. La ritmica è audace, l’armonia imprecisa, dalle tonalità mobili. Il ‘Prologue’ inizia con un tema molto vivace, degno di Couperin, che si ritrova negli altri pezzi, la ‘Sérénade’ scherza, piena di pizzicati, presentando al violoncello delle imitazioni di chitarra, mandolino, flauto, tamburino. Il ‘Finale’ è notevole per la sua allegria, che, per una dozzina di battute, interrompe una frase ‘molto rubato con morbidezza’, che sembra venire da un altro mondo.” Ha completato il concerto la Sonata per violoncello e pianoforte op. 38 di Brahms.
Sopra ho fatto un complimento a Musica nel Mendrisiotto per la scelta dei programmi. Ne aggiungo un altro per l’efficienza organizzativa. Poiché a causa di un infortunio al pianista il programma previsto inizialmente per il 3 novembre non potè essere svolto, l’associazione è riuscita, nonostante la ristrettezza del tempo, a effettuare un’ottima sostituzione. Del programma ho già detto. Va aggiunto che il violoncellista Claude Hauri e il pianista Corrado Greco hanno offerto prestazioni di alto livello, dalle quali sono emersi pienamente tutti i valori delle composizioni, ricevendo applausi vivissimi dal pubblico che gremiva la sala.
Carlo Rezzonico