L’oasi felice UE

Apr 1 • L'opinione, Prima Pagina • 291 Views • Commenti disabilitati su L’oasi felice UE

Dr. Francesco Mendolia

Ho terminato di raccogliere queste notizie il giorno 21/3/2022. Il 21/3/1963 chiude il penitenziario di Alcatraz.

Europa Ucraina

Prima che la situazione al confine fra Russia e Ucraina precipitasse, la comunità internazionale aveva fatto diversi tentativi per evitare una escalation. Un pezzo dei negoziati era stato condotto dagli Stati Uniti, in quanto leader informali della NATO, la principale alleanza militare paesi occidentali. Ma la gran parte degli sforzi era stata affidata ai leader europei. In pochi giorni avevano incontrato o parlato al telefono col presidente russo Vladimir Putin tutti i principali capi di Stato e di governo europei. Eppure, non è servito a nulla: ormai da giorni la Russia di Putin ha invaso l’Ucraina, consegnandoci una guerra di una brutalità che in pochi avevano pronosticato. Dai leader europei sono arrivate fermissime condanne dell’invasione, a parole. E in parallelo una serie di sanzioni contro la Russia giudicate troppo timide ancora prima che venissero ufficialmente approvate. «Questa potrebbe essere l’ultima volta che mi vedete da vivo», ha detto giovedì sera il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in collegamento durante la riunione del Consiglio europeo. Ma i leader non hanno cambiato idea: le sanzioni considerate più dure sono state messe da parte per una eventuale, ulteriore escalation. Quasi nessuno si aspetta che l’Europa risolva la crisi in corso. Eppure sarà proprio l’Europa a subirne le conseguenze peggiori, comunque vada a finire: come hanno notato in molti, non esistono più soluzioni accettabili. Certo, il rapporto dei paesi europei con la Russia è pesantemente condizionato dal gas. Secondo i dati più recenti di Eurostat, nel 2019 l’Unione Europea importava il 41,1 per cento del suo gas naturale dalla Russia. Ma la dipendenza energetica racconta solo un pezzo delle ragioni della debolezza dimostrata in questi giorni dall’Europa. Dalla fine della Guerra fredda l’Europa ha cercato di costruire un nuovo rapporto con la Russia, cercando di avvicinarla sempre di più al modello economico-sociale europeo; fra l’altro, espressione più dell’Unione europea che della NATO, citatissima in questi giorni. «L’obiettivo di questa strategia era una specie di “Russia europea”», ha spiegato di recente il politologo Dmitri Trenin, direttore del Carnegie Moscow Center: «cioè una Russia che avrebbe progressivamente accettato le norme e i princìpi elaborati dall’Unione europea nella propria politica, economia e società, e che avrebbe cooperato strettamente con l’Unione nella propria politica estera. In altre parole, hanno immaginato la Russia non come un membro dell’Unione – neppure un candidato, come la Turchia – ma come un partner permanente».

Questo obiettivo si è ormai sgretolato da una decina d’anni. Da quando cioè si è capito che la Russia di Putin non aveva alcuna intenzione di aderire al ruolo subalterno che l’Europa le aveva ritagliato, e che anzi intendeva restaurare l’antica area di influenza che apparteneva all’Unione Sovietica. Putin lo disse esplicitamente nel citatissimo discorso tenuto nel 2007 all’annuale Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, e lo rese chiaro nel 2008, quando invase l’Ossezia del Sud, in Georgia, per aiutare un gruppo indipendentista filorusso.Da allora, l’Europa non ha più trovato un approccio condiviso nei confronti della nuova aggressività russa, limitandosi a sperare che prima o poi Putin avrebbe cambiato idea. Omissis.

(Il Post Konrad marzo 2022 )

 

Navi di grano bloccate nel Mar Nero, così la Russia si vendica dell’occidente

La guerra in Ucraina non ha ripercussioni soltanto sul campo di battaglia. Oltre alle vittime, alle città distrutte e a tutti gli altri orrori presenti in ogni conflitto, è importante analizzare gli effetti indiretti generati da questa escalation. In particolare, dal punto di vista economico, la messa a ferro e fuoco del territorio ucraino, con la conseguente distruzione delle sue infrastrutture, comporta un inevitabile choc economico. Per l’Ucraina, certo, ma anche per i paesi – la lista è piuttosto lunga – che erano soliti fare affari con il «granaio d’Europa». I media tedeschi, ad esempio, hanno acceso i riflettori su circa 300 navi di trasporto del grano destinato all’esportazione dalla Russia e dall’Ucraina verso l’Europa. Queste imbarcazioni sono state bloccate nel Mar Nero dalle autorità russe. Ma non è finita qui, perché dai porti ucraini non viene praticamente più esportato grano, mentre da Mosca ne esce pochissimo. Risultato: il mercato internazionale delle materie prime per uso alimentare è in allarme. Ancor più di quanto non lo fosse nelle settimane precedenti. La mossa russa ha sostanzialmente bloccato una delle principali rotte commerciali globali per il grano. «Zero grano viene attualmente esportato dai porti dell’Ucraina: nulla sta lasciando il Paese», ha detto all’agenzia di stampa dpa Jörg-Simon Immerz, capo del commercio di grano di BayWa, uno dei principali importatori del settore agricolo tedesco. Secondo quanto riportato da Deutsche Welle, quanto affermato da Immerz è supportato dall’Autorità marittima panamense, che nelle ultime ore ha sottolineato come la Marina russa stesse impedendo a 200-300 navi di lasciare il Mar Nero, la maggior parte delle quali carica di grano. Omissis. Ricordiamo che la Russia produce quasi 80 milioni di tonnellate di grano all’anno esportandone circa 30 milioni, mentre l’Ucraina ne esporta da 20 a 25 milioni di tonnellate annui. «Il grano è stato seminato in autunno e ora deve essere fertilizzato. Il mais non è stato ancora seminato, e se non può essere seminato, ovviamente, non ci sarà raccolto», ha aggiunto Immerz. Nel frattempo, il porto romeno di Costanza è sovraffollato dall’arrivo di decine di navi che, inizialmente dirette allo scalo ucraino di Odessa, hanno fatto rotta verso la Romania per evitare di restare coinvolte nel conflitto in corso in Ucraina. L’unica opzione sicura per le navi dirette nell’area nord occidentale del Mar Nero, infatti, al momento coincide proprio con il porto di Costanza, dove il traffico di merci è raddoppiato dall’inizio della guerra.

(Inside Over 18/3/22 Federico Giuliani)

(Il giornale .it 18/3/2022 Alessandro Ferro)

Comments are closed.

« »