La fermezza nel cedimento
È un concetto coniato dall’ex-presidente, oggi presidente onorario di UDC Ticino, Dr. Gianfranco Soldati, per definire l’atteggiamento servile assunto dalla Berna federale nei confronti dell’UE. In effetti, nella politica estera degli ultimi 25 anni, su una cosa governo e parlamento federali sono stati di una costanza a dir poco inscalfibile: cedere, cedere e ancora cedere alla benché minima pressione proveniente dall’estero – poco importa se dagli USA o dall’UE. Con una pusillanimità che farebbe inorridire i nostri antenati, si è andati avanti (per modo di dire) al motto “non possiamo far altro, sono troppo forti per noi”, incuranti del degrado cui ciò ha portato il nostro benessere innanzitutto, ma anche della caduta d’immagine del nostro paese agli occhi degli interlocutori internazionali che una volta ci rispettavano e invidiavano, mentre oggi ci vedono solo come una mucca che si può mungere a piacimento, basta fare la voce grossa.
Inutile dire quanto questo atteggiamento sia dannoso anche al nostro interno, con parte del popolo ormai contagiato dal morbo catastrofista propagato da una classe politica indegna, incline al tradimento del paese e dei suoi valori più preziosi, quali la libertà e la sovranità. È legittimo affermare che la Berna federale sta forgiando le catene del nostro schiavismo.
Fortunatamente, finché dura, il popolo può metterci una pezza grazie alla democrazia diretta ma, attenzione, se li lasciamo fare c’è il rischio che presto o tardi ci tolgano anche quella. Infatti, la stanno già minando con la complicità del Tribunale federale che, sempre più spesso, si mette a legiferare di fatto a suon di giurisprudenza, contravvenendo spudoratamente a principio della separazione dei poteri. Dando rango costituzionale a tutti gli accordi internazionali sottoscritti dalla Svizzera, di fatto rende anticostituzionale qualsiasi iniziativa che contrasti con il diritto internazionale anche non cogente. L’obiettivo di dare al diritto internazionale il primato sulla nostra Costituzione è sfacciatamente palese, ma se il Tribunale federale si permette questa mossa è perché le forze politiche gli danno la loro benedizione, se addirittura non gli sollecitano tali discutibili sentenze.
Anche il fatto di escludere gli iniziativisti dal gruppo di lavoro incaricato di elaborare la legge d’applicazione dell’articolo costituzionale votato lo scorso 9 febbraio, è indicativo della volontà del Consiglio federale di annacquare il più possibile la volontà popolare, per poi proporre un disegno di legge che modifichi solo in misura insignificante lo statu quo, magari dissimulandolo dietro declamazioni di principio ma che al lato pratico non cambiano un bel nulla. Il tutto per non urtare la suscettibilità dei quattro balivi di Bruxelles (l’opinione pubblica dell’UE ha già dato ampie dimostrazioni di essere dalla nostra parte anzi, di essere anch’essa intenzionata a chiedere dei referendum che verosimilmente farebbero crollare l’intero assetto dell’UE basato sull’artificialità). Questi, per il momento, hanno dato inizio a delle ritorsioni che sfiorano il ridicolo: ci negano l’accesso al programma di studio Erasmus, al quale partecipa ben uno scarso 2% degli studenti svizzeri. Peccato che il presidente della commissione del budget del Parlamento europeo sia stato il primo, tempo fa, a non nascondere le difficoltà finanziarie dei programmi di studio e di ricerca, dato che gli Stati membri – alle prese con ben altre priorità – sono piuttosto restii a continuare con sovvenzioni miliardarie. Il programma Erasmus è quindi apparentemente con un piede nella fossa e l’altro su una pelle di banana, per cui se la Svizzera ne sta fuori, tanto di guadagnato.
Quello che mi risulta veramente incomprensibile però, è l’assoluta inerzia delle forze politiche elvetiche, in primis il Consiglio federale, di fronte alle ritorsioni dell’UE. Seppure ridicole e ininfluenti, la Berna federale dovrebbe almeno far finta di prenderle sul serio, ma non per unirsi al coro di piagnistei degli ambienti euroforici sinistroidi, bensì per contrapporvi una contromossa ben più pesante ed efficace: il congelamento di qualsiasi pagamento, dovuto all’UE e ai suoi singoli Stati membri in virtù di accordi – per noi vantaggiosi o funesti, non ha importanza – sottoscritti negli ultimi decenni. In altre parole, non un singolo franco deve fluire dalla Svizzera nelle casse di Bruxelles, fintanto che nuove trattative sui bilaterali che ci interessano (prima fra tutti, la libera circolazione delle persone) siano non solo avviate, bensì portate a termine a nostra soddisfazione. Con la catastrofica situazione finanziaria in cui si trova la maggior parte degli Stati UE, toccare quest’ultima sul borsellino è l’unico modo per ricondurne i suoi arroganti dirigenti sulla via del buonsenso.
La fermezza nel cedimento comunque, sembra aver contagiato anche le nostre autorità cantonali. Fin troppo spesso ci siamo sentiti dire “non si può, c’è il diritto federale superiore”, tanto che la cosa ha spinto l’UDC Ticino a elaborare un’iniziativa affinché i princìpi decretati dal popolo lo scorso 9 febbraio siano ancorati nella nostra Costituzione cantonale, indipendentemente dall’applicazione legislativa che Berna riuscirà a dar loro.
La richiesta di rinegoziare l’accordo sui frontalieri con l’Italia è plebiscitata in tutto il Cantone, al di là di ogni steccato partitico. Il blocco dei ristorni – purtroppo parziale e tolto troppo presto – ha già dimostrato nel 2011 di costituire un’arma non indifferente per indurre l’Italia e Berna a darsi una mossa. Erano questi un paio di spauracchi da sventolare con decisione davanti al naso del Consiglio federale. E invece no. L’indegna “toccata e fuga” della ministra Widmer-Schlumpf a Agno ha evidenziato chiaramente che: uno, il Consiglio federale dei problemi ticinesi se ne frega; due, con la stessa arroganza che permette a sei consiglieri federali su sette di rimanere incollati al loro “cadreghino” nonostante la sberla del 9 febbraio, Widmer-Schlumpf ci viene a dire che l’accordo sui frontalieri con l’Italia non si tocca; infine, tre: di blocco dei ristorni non se ne parla nemmeno.
Sarebbe stata l’occasione per affrontare finalmente a muso duro la questione e rivendicare un po’ di quel federalismo che la Berna federale sta vieppiù togliendo ai cantoni. In altre parole, noi i ristorni li blocchiamo e poi succeda quello che deve succedere. Invece no, si è ribadita da una parte la posizione del Cantone e la volontà di disdire l’accordo sui frontalieri, e dall’altra si è pure ribadita una volontà, quella di rivedere gli accordi fiscali “a nostro favore”. “Siamo preoccupati, ma vi sono anche degli elementi positivi” – dice il presidente del CdS Beltraminelli. Insomma, un paio di pie intenzioni – talmente banali che la ministra non ha neppure osato presentarle ai media – ma si continua a subire supinamente la volontà di una Berna federale il cui livello di consenso nella popolazione non è mai stato così basso. Un ulteriore fulgido esempio di fermezza nel cedimento!
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