Processi alle intenzioni e cortine fumogene
Quando il dibattito è perso, la calunnia diventa lo strumento del perdente.
Socrate (470/469 a.C.–399 a.C. – filosofo greco antico)
Quando non si hanno argomenti validi per bocciare un’iniziativa, seminare incertezza e pronosticare scenari apocalittici – oggi si chiama terrorismo psicologico – è una strategia collaudata e, purtroppo, spesso anche efficace. In questi mesi di campagna di voto in vista del 25 novembre 2018, ne abbiamo avuto la riprova con il dibattito sull’iniziativa per l’autodeterminazione. Un vastissimo fronte formato da partiti politici, gremi istituzionali, organizzazioni economiche e associazioni varie – consumatori, Amnesty International, Alleanza della società civile (e chi sarà mai questo Carneade?), Pro Juventute, Helvetas, e ogni giorno se ne aggiunge qualcuna che approfitta dell’occasione per emergere dall’anonimato in cui spesso la costringe la sua totale inutilità – nonché uno stuolo di giuristi, sedicenti intellettuali e pseudo esperti, si è costituito per contrastare un’iniziativa che vuole semplicemente ridare al popolo svizzero quel ruolo di sovrano che negli ultimi decenni la politica fa di tutto per togliergli e che, grazie alla complicità del Tribunale federale, è addirittura riuscita parzialmente nel suo intento.
Un abuso palese del Tribunale federale
Oggi, il diritto internazionale – o meglio il cieco asservimento allo stesso della Berna federale – è servito da pretesto per non applicare la Costituzione, peraltro legittimata dal voto popolare, nel caso più clamoroso dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa, ma anche in quello dell’internamento a vita dei criminali pedofili e violenti, dell’espulsione degli stranieri criminali, tanto per fare qualche esempio. Si tratta di articoli costituzionali votati da popolo e cantoni che sono lì, congelati, in attesa che la votazione del 25 novembre sancisca finalmente ciò che il popolo non ha in effetti mai voluto che venisse modificato: ossia che la Costituzione federale sia l’espressione inappellabile del sovrano svizzero. Era così fino al 2012, ossia fino a quando la scellerata decisione di una corte del Tribunale federale (6 giudici) ha deciso che la Costituzione debba essere subordinata al diritto e ai trattati internazionali. Con le sue sentenze che fanno giurisprudenza (in altre parole fanno le veci di legge in attesa che il parlamento ne elabori una per la fattispecie in oggetto, legge che naturalmente non può differire dalla giurisprudenza del Tribunale federale che, altrimenti, la dichiara irricevibile), il potere giudiziario in Svizzera si arroga ormai da qualche anno il diritto di legiferare – funzione che sarebbe peraltro di assoluta spettanza del parlamento, rispettivamente del popolo quando viene lanciato il referendum. Alla faccia della separazione dei poteri, base fondamentale di uno Stato di diritto!
La Svizzera, partner affidabile da sempre
I detrattori dell’iniziativa per l’autodeterminazione affermano – mentendo spudoratamente – che, nel caso il sovrano decidesse saggiamente a favore della nostra democrazia diretta, la Svizzera sarebbe considerata a livello internazionale un partner inaffidabile con cui nessuno vorrebbe più intrattenere rapporti economici. Ma la Svizzera è sempre stata considerata più che affidabile (altrimenti come giustificare l’attrattività delle nostre banche, specialmente prima che la deriva internazionalista della Berna federale ne ostacolasse l’attività importando sempre più norme e restrizioni dalla peraltro fallimentare UE e cedendo ai ricatti degli USA?). E ciò ben prima del cambio di rotta del 2012, e nulla lascia pensare che il progressivo assoggettamento all’UE di questi ultimi decenni abbia aumentato di una virgola il rispetto e la fiducia nei nostri confronti. Tutt’al più, l’atteggiamento “sì buana, agli ordini buana” ha fatto sì che dall’estero venissero esercitati sempre più pressioni e ricatti, con la certezza di trovare un interlocutore sempre disponibile, o meglio gonzo. Finché dura, perché la votazione del 25 novembre è sintomatica di un crescente sentimento di intolleranza nella popolazione nei confronti di un atteggiamento politico che non fa parte del nostro DNA di Svizzeri liberi e fieri della loro indipendenza.
Déjà vu!
Chi ha vissuto la meravigliosa avventura che nel 1992 portò la nostra democrazia diretta a respingere l’adesione allo Spazio economico europea, non può non avere un’impressione di “déjà vu” assistendo all’attuale dibattito sull’autodeterminazione. 26 anni fa come oggi, gli stessi ambienti – istituzioni politiche, partiti, associazioni economiche e no, pseudo esperti, sedicenti intellettuali e giuristi, eccetera – minacciavano peste e corna in caso di rifiuto dello SEE da parte di popolo e cantoni. Ebbene, quella domenica del 6 dicembre fu nera solo per il consigliere federale Pascal Delamuraz e per i suoi accoliti che avevano pronosticato l’apocalisse della Confederazione elvetica. Sì perché, nel ventennio che fece seguito alla storica decisione, i fatti dimostrarono l’infondatezza di tali vaticini e la malafede di chi li aveva espressi. La Svizzera registrò infatti una crescita economica al di sopra della media europea.
La favola dei diritti umani
Nel dibattito di quest’anno, a differenza di quello del 1992, sono stati tirati in ballo – ancora una volta del tutto a sproposito – i diritti umani. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) è nata nel 1950, ma stata sottoscritta dalla Svizzera nel 1974. Una sottoscrizione peraltro superflua, in quanto le norme del diritto internazionale cogente (jus cogens) di cui fanno parte i diritti umani cogenti – divieto di genocidio, schiavitù, tortura, apartheid, eccetera – sono già iscritte a chiare lettere nella nostra Costituzione. Con il senno di poi, avere sottoscritto la CEDU è stato un errore da parte della Svizzera, perché ci assoggetta alle decisioni di un’altra CEDU, ossia la CORTE europea dei diritti dell’uomo, che ha nel frattempo arbitrariamente esteso le sue competenze fino a diventare uno degli organi di ricorso più abusati da falsi asilanti, parassiti delle assicurazioni sociali, e altri buontemponi del genere cui questo tribunale da spesso e volentieri ragione, obbligando il nostro paese a sussidiare gli abusi con soldoni sonanti. Non a caso l’UE NON ha sottoscritto la Convenzione, al fine di non assoggettarsi alle sentenze della CEDU di cui dovrebbe riconoscere la preminenza rispetto alla sua Corte di giustizia. Quindi, innanzitutto i diritti umani sono in Svizzera salvaguardati a sufficienza dalla Costituzione federale per cui, qualora anche dovessimo uscire dalla CEDU (convenzione), continuerebbero a essere tutelati come finora. Con il vantaggio che gli organi di ricorso a disposizione finirebbero in ultima istanza con il Tribunale federale.
Cortine fumogene e processi alle intenzioni
Quindi, l’iniziativa per l’autodeterminazione vuole una sola e più che ragionevole cosa: ridare alla Costituzione federale il suo ruolo di fonte suprema del diritto in Svizzera. In altre parole, la Svizzera continuerà sì a rispettare il diritto internazionale ma, in caso di conflitto fra i due, dando la priorità alla sua propria Costituzione. Tutte le cortine fumogene sollevatele contro dai detrattori – scenari apocalittici di macerie e rovine del nostro paese, ostracismo da parte dei paesi esteri nei nostri confronti, ipotetiche misure di ritorsione e altre amenità del genere – non sono che mezzucci volti a seminare artificialmente incertezza, ben sapendo che l’insicurezza è uno stato d’animo che tende a far prevalere il rifiuto (chi lascia la vecchia via… con quel che segue). E allo stesso obiettivo mirano i processi alle intenzioni nei confronti dell’UDC, i cui vertici avrebbero lanciato l’iniziativa perché non accettano di “non riuscire a imporre le idee che piacciono a loro”. In altre parole, la precedenza indigena sul mercato del lavoro, l’espulsione obbligatoria degli stranieri criminali o l’internamento a vita dei criminali violenti e pedofili, sarebbero delle idee da non attuare perché piacciono solo all’UDC. Dimenticano, questi signori, che tutte e tre le iniziative in questione sono piaciute a oltre il 50% dei cittadini che le hanno votate. Sarebbe bello per noi, certo, che questa percentuale fosse costituita da soli UDC, ma purtroppo non è così. È che le idee dell’UDC piacciono spesso alla maggioranza della popolazione, che quindi viene letteralmente TRADITA da chi – processando le presunte intenzioni di Christoph Blocher e compagni, additati come l’Anticristo fonte di tutte le disgrazie – si appiglia al diritto internazionale per non adempiere al proprio mandato istituzionale.
In conclusione, spero vivamente che i cittadini – forti dell’esperienza del 1992 – non si lascino intimorire dalle Cassandre spinte esclusivamente da interessi personali e di categoria, e respingano al mittente le loro lugubri profezie con un chiaro SÌ all’autodeterminazione e alla democrazia diretta.
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