La classe di Maria Joao Pires al Lucerne Festival
Spazio musicale

La grande pianista portoghese Maria Joao Pires ha abbandonato l’attività concertistica nel 2018 ma di quando in quando si concede qualche ritorno. Così il 12 agosto ha fatto una gradita riapparizione al Lucerne Festival. In un primo tempo si era annunciato il concerto per pianoforte e orchestra KV 466 di Mozart ma in seguito, per non precisate ragioni artistiche, è stato messo in programma quello KV 271. Un cambiamento non da poco, tenuto conto che nel primo dominano i momenti drammatici mentre il secondo predilige la pacatezza e l’intimità. Comincia con un «allegro» che sembra riflettere un semplice e generico, ma pur sempre affascinante, piacere di far musica. Sull’«andantino» invece calano ombre. Si pensi per esempio al carattere inquietante e oscuro che emerge fin dalle prime battute, dove un motivo dei primi violini in zona bassa viene imitato a brevissima distanza dai secondi violini, pure in zona bassa. Poi il tempo finale si lancia in idee vivaci e nel virtuosismo; c’è però la particolarità consistente nella sostituzione della parte centrale del rondò con un minuetto.
La Pires ha confermato le sue doti di eccellente interprete mozartiana. È unica nella straordinaria qualità del tocco, che le permette di porgere la musica in assoluta purezza e di trasferirla come per incanto in un mondo rarefatto, sospeso e irreale. Inoltre sa fraseggiare con finissima sensibilità. Il direttore Paavo Järvi, che ha preso il posto di Riccardo Chailly (il quale è stato costretto a rinunciare poiché ha dovuto sottoporsi a una operazione) si è mosso intelligentemente sulla medesima lunghezza d’onda della solista e ha ottenuto dalla Lucerne Festival Orchestra una prestazione di primo ordine. L’esito generale è stato un Mozart morbido, sinuoso, sfumato, riflessivo, si potrebbe dire perfino affettuoso.
La seconda parte della serata ha offerto la quarta sinfonia di Brahms. L’esecuzione non mi ha convinto e l’ho trovata scialba. Ma va tenuto conto che è avvenuta una sostituzione del direttore e che forse durante le prove non si è potuto mettere a punto ogni aspetto e ogni particolare della complessa composizione.
Sobrio Festival

Per la sua decima edizione il Sobrio Festival offre quest’anno tra l’8 luglio e l’8 ottobre numerosi eventi degni di attenzione. Nel programma ha fatto spicco il concerto di domenica 16 luglio con il violinista Simone Bernardini, dei Berliner Philharmoniker, e il pianista Roberto Arosio. L’interesse della manifestazione risiedeva non soltanto nell’alta qualità degli interpreti, ma anche nei pezzi eseguiti: la sonata in sol maggiore per violino e pianoforte di Guillaume Lekeu e la sonata in la maggiore per violino e pianoforte di Franck. Particolarmente il primo numero ha stimolato la curiosità degli ascoltatori, che probabilmente, almeno in gran parte, non avevano mai sentito opere del compositore e magari non ne conoscevano neppure il nome. Il Lekeu nacque nel 1870, fu autore di parecchi lavori ma purtroppo a ventiquattro anni, sembra a causa di tifo dovuto al consumo di un gelato infetto, perse la vita. La composizione presentata a Sobrio rivela una personalità notevole, tuttavia ancora incerta nel muovere i suoi passi. I tre tempi sono tutti al superlativo assoluto: «très modéré, très lent, très animé». Il primo porta melodie abbastanza pregevoli alternate a passaggi energici. Il secondo mette in evidenza speciale il violino e svolge un lungo percorso melodico nel quale non ho ravvisato chiare strutture formali né particolari intenzioni espressive; si tratta piuttosto di un discorso musicale libero e sciolto, che in ogni caso riesce a farsi apprezzare. La composizione si arroventa frequentemente nel terzo tempo ma mi sembra esagerato parlare generalmente di «très animé». Su un piano di qualità artistica superiore si colloca la sonata di Franck, che con un motivo assai semplice e ciclicamente ricorrente mantiene assai vivo, grazie anche alle numerose modulazioni, l’interesse dell’ascoltatore.
Esecuzioni splendide, per le quali si potrebbero tessere molti elogi al violinista e al pianista. Mi limito a uno. L’ampia, calda e luminosa cavata del Bernardini, nell’ambiente intimo della Chiesa di San Lorenzo, ha potuto rifulgere in tutta la sua bellezza. Messa al servizio delle ammirevoli qualità interpretative del violinista ha addotto a risultati di considerevole valore.
Che in un villaggio piccolo e discosto (ma assai suggestivo) come Sobrio sia possibile ascoltare esecuzioni musicali degne di essere ospitate anche negli auditori delle grandi città è un fatto davvero straordinario, frutto dell’abilità e dell’impegno messo in campo dall’infaticabile presidente e direttore artistico Mauro Harsch.
Carlo Rezzonico
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