Giustizia o colpevole dabbenaggine?

Set 22 • L'editoriale • 2731 Views • Commenti disabilitati su Giustizia o colpevole dabbenaggine?

Eros N. Mellini

Eros N. Mellini

Premesso che, per il momento, Fabrice Anthamatten è solo “presunto” colpevole dell’omicidio di Adeline Morel – infatti, per ora, lo si può solo accusare di evasione – anche se questa illazione è la più verosimile, visti i trascorsi del delinquente. Ma, a prescindere da ciò, è legittimo chiedersi cosa è diventato il concetto di giustizia negli ultimi decenni. Infatti, l’episodio di Ginevra non è che l’ultima – purtroppo estremamente tragica – conseguenza di un’involuzione del sistema penale che, da repressivo e punitivo è diventato vieppiù conciliante e magnanimo fino al limite dell’assurdo nei confronti dei criminali, incurante per contro delle vittime. Di quelle che hanno già subìto la violenza e per le quali, quindi, rimane solo il sacrosanto diritto alla punizione del colpevole, ma anche di quelle che questo sciagurato buonismo verso i criminali rende potenzialmente tali.

Per me, essendo agnostico e quindi non legato a dogmi religiosi, la vita umana non è sacra di per sé stessa, bensì nella misura in cui un individuo la rende tale con un comportamento corretto e meritevole. Per questo ho già in altra sede affermato la mia propensione alla pena di morte, perlomeno quando sia esclusa la possibilità di un errore giudiziario.

I diritti dell’uomo da salvaguardare, originariamente, erano pochi ed essenziali come quello di non essere torturati o perseguitati a causa del proprio credo religioso o politico, ma oggi sono stati estesi a un ventaglio assurdo di pseudo-diritti che impediscono di fatto l’applicazione della legge o ne mitigano comunque esageratamente la misura e, di conseguenza, anche l’effetto deterrente che ne deriva. Non c’è sentenza di tribunale che non accordi per principio tutta una serie di circostanze attenuanti, spesso inventate di sana pianta a posteriori a unico uso e consumo dell’impianto di difesa elaborato da avvocati astuti e abilissimi nel negare spudoratamente la realtà dei fatti. Mi sono sempre chiesto perché, se fornisco un falso alibi a un delinquente divento suo complice, mentre l’avvocato difensore che – benché consapevole della colpevolezza del proprio cliente perché questo gliel’ha confessata – riesca a convincere la giuria che l’imputato non ha commesso il fatto, sia invece premiato con una parcella sostanziosa e con l’aureola di principe del foro.

Ma torniamo a noi. Lo scopo di una pena detentiva – perlomeno nei casi di delitti violenti e particolarmente gravi – è anche e soprattutto quello di togliere dalla circolazione un potenziale pericolo per la comunità. Ma da noi l’assassino o lo stupratore godono di libere uscite, di congedi o, come nel caso di Ginevra, delle uscite accompagnate dalla psicoterapeuta per andare a una “riabilitazione equestre”. Il tutto nella finalità – a mio avviso errata alla base – di recuperare e reimmettere l’individuo nella società. Fatemi capire: questo delinquente stupra una prima volta in Svizzera nel 2001 e si becca 5 anni di prigione. Ma mentre è ancora a piede libero in attesa del processo, sempre nel 2001, viene arrestato in Francia per un altro stupro e condannato a 15 anni (perlomeno in Francia sembra che le pene per questo genere di reati siano un po’ più serie). Chiede di finire di purgare la pena in Svizzera – essendo franco-svizzero con una parte della famiglia abitante a Ginevra, può farlo – e arriva a Champ-Dollon nel 2008. Non c’è da stupirsi che abbia chiesto il trasferimento in Svizzera, viste le condizioni di detenzione ridicolmente (tragicamente per Adeline Morel) miti in vigore nel nostro paese. E un tizio con un “pedegree” del genere lo volete recuperare alla società? Con l’ippoterapia? Scusate, ma sicuramente il povero equino è ignaro di essere lo strumento di tale cura terapeutica altrimenti, salvo che questa consistesse nel sottoporre il farabutto a una scarica di calci,  rifiuterebbe di collaborare.

Secondo me, anche gli psichiatri che redigono perizie atte a far ritenere che i soggetti siano guariti e non suscettibili di creare pericoli per la società, quando, al contrario di quanto affermato, ci ricascano con conseguenze più o meno gravi, dovrebbero essere chiamati ad assumersi le loro responsabilità con pesanti sanzioni. Ma, ripeto, a monte l’errore sta nel fatto che si ritengano tali individui – “guariti” o no – meritevoli di essere reinseriti nella società; stupri, assassinii, spaccio di droga e altri reati di tale portata (con conseguenze traumatiche, quelle pure inguaribili, ma per le vittime), non possono essere lavati con un colpo di spugna o trattati con la stessa indulgenza di un furtarello o di un eccesso di velocità in autostrada. Deve cambiare la mentalità, o meglio, deve tornare ad essere quella di 50 o 60 anni fa, quando infrangere la legge non era considerato necessariamente un peccato veniale da trattare con un buffetto sulla guancia e un “Non farlo più”.

Di leggi ne abbiamo, e anche di abbastanza valide, ma fintanto che vengono applicate con l’assurdo buonismo cui sono usi i nostri tribunali – complice anche un Tribunale federale troppo incline ad accettare ricorsi da parte di delinquenti ormai edotti su tutti i cavilli legali, legati e no ai “diritti dell’uomo” – la nostra giustizia sarà sempre considerata dai delinquenti una ghiotta dabbenaggine di cui approfittare.

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