UDC – Lega: qualche pacata riflessione
Martedì 17 giugno ha avuto luogo a Berna un incontro fra esponenti della Lega dei Ticinesi e di UDC Ticino, in presenza del presidente del partito nazionale Toni Brunner, del vicepresidente Christoph Blocher e del segretario generale Martin Baltisser. Presenti per la Lega: i due consiglieri nazionali Lorenzo Quadri e Roberta Pantani, il consigliere di Stato Norman Gobbi e, in rappresentanza del padre Attilio impossibilitato, Antonella Bignasca. Per l’UDC Ticino: il presidente cantonale Gabriele Pinoja, il consigliere nazionale Pierre Rusconi, il capogruppo in Gran Consiglio Marco Chiesa e il sottoscritto, quale segretario cantonale. Scopo dell’incontro – voluto da Christoph Blocher dietro richiesta della Lega – era quello di valutare i rapporti fra i due partiti cantonali e le possibilità di alleanze e collaborazioni in vista della tornata elettorale 2015.
A torto o a ragione, nello schieramento UDC il sottoscritto è considerato forse il meno propenso a compromessi. E benché l’avanzare dell’età e l’esperienza che ne deriva abbiano smussato qualche angolo, è un fatto che, fra falchi e colombe, mi sento decisamente più a mio agio nelle piume dei primi. Ciò nonostante, mi sforzerò di frenare mia innata aggressività in questo tentativo di analizzare la situazione, cercando di valutarne le varie angolazioni sulla base di una logica che ritengo, se non necessariamente condivisibile, quantomeno comprensibile al di là degli egoismi partitici.
Una premessa indispensabile
Mentre che le elezioni nazionali sottostanno alla relativa legge federale che permette la congiunzione di liste indipendenti, per le elezioni cantonali questa possibilità è stata eliminata con la revisione della legge nel 2002. La sua reintroduzione proposta dall’UDC in Gran Consiglio è stata bocciata un anno fa con il voto contrario della maggior parte dei leghisti. Ergo, per l’elezione del Consiglio di Stato un’alleanza è possibile esclusivamente presentando una lista unica Lega/UDC o UDC/Lega.
La situazione passata
Per le elezioni del 2011, Lega e UDC avevano concluso un’alleanza strategica di reciproco interesse. L’UDC rinunciava a presentare una sua lista per il CdS, convogliando tutti i suoi possibili e potenziali voti sulla lista della Lega e, a ottobre per le nazionali, quest’ultima avrebbe accettato la congiunzione della sua lista con quella dell’UDC, il che avrebbe praticamente assicurato al nostro partito l’agognata entrata in Consiglio nazionale di un suo rappresentante. Apparentemente la cosa funzionò bene, la Lega raddoppiò la sua presenza in CdS e Pierre Rusconi fu eletto in Consiglio nazionale. Tutti felici, quindi, esperienza da rifare? Non esattamente. Infatti, alla luce dei risultati dell’elezione federale, l’UDC avrebbe ottenuto da sola il consenso necessario a eleggere il suo candidato, mentre che il gioco dei resti permise alla Lega di ottenere un inaspettato secondo seggio in Consiglio nazionale. E questo ci sta benissimo, sia chiaro, per noi era quasi una garanzia di raggiungere il risultato, l’abbiamo raggiunto e siamo contenti. Quello che è stato ai nostri occhi eccessivo è invece il prezzo pagato a livello cantonale. Infatti, la rinuncia alla nostra lista per il CdS ci ha tolto una grande fetta di visibilità mediatica che, assieme alla relegazione dei nostri candidati sul retro della scheda di voto, ci ha penalizzato parecchio, al punto di vedere in pericolo la conferma del gruppo in Gran Consiglio (minimo 5 deputati), conditio sine qua non per essere presenti nelle commissioni oltre che avere il diritto a una congrua indennità di gruppo che permette di finanziare tutte le attività del partito.
La situazione attuale
L’interesse alla congiunzione delle liste per l’elezione del Consiglio nazionale continua a essere reciproco, in quanto assicurazione del risultato massimo possibile – non dimentichiamo che non c’è alcuna sicurezza di riconfermare i tre seggi che oggi occupano globalmente Lega e UDC – e anche per la Lega non è più un “favore” concesso magnanimamente in cambio della contropartita cantonale. Realisticamente, insieme possiamo ricentrare l’obiettivo tre seggi o addirittura migliorarlo ma, in caso di una malaugurata perdita di consensi, il primo a “saltare” sarebbe verosimilmente il terzo seggio che, guarda caso, oggi è occupato dai leghisti.
Per quanto riguarda la lista per il Consiglio di Stato, invece, una nostra rinuncia a favore della Lega come nel 2011, penalizzerebbe troppo l’UDC in termini di presenza mediatica durante la campagna elettorale. La presenza ai dibattiti televisivi è infatti prioritaria per i partiti che corrono per l’Esecutivo, e tale presenza è determinante ovviamente anche per l’ottenimento del massimo consenso per l’elezione del Gran Consiglio. Di conseguenza, l’UDC Ticino non è disposta a rinunciare alla propria lista, decisione peraltro presa democraticamente dal Comitato cantonale e ratificata dal Congresso lo scorso novembre.
Proposta indecente?
Sul tavolo delle trattative c’era quindi una prima proposta di lista unica Lega/UDC, con un posto su cinque assegnato a un candidato UDC. Nel corso della discussione, da parte leghista si è fatto capire che si sarebbe potuti arrivare alla concessione di due candidati UDC. Intendiamoci, proposte non fuori di testa, se si considerano le forze in campo dei due partiti nel 2011 anzi, sotto un certo punto di vista parrebbero perfino molto generose. Se non fosse che la situazione non è più quella del 2011. La Lega, senza quella macchina da voto che è Marco Borradori (in politica può succedere di tutto, ma non credo proprio che il suo abbandono della sedia di sindaco di Lugano per un rientro nel governo cantonale sia ipotizzabile), e con la mancanza della forza trascinatrice del suo fondatore, non può ragionevolmente essere sicura di riconfermare il raddoppio in CdS conquistato nel 2011, e quindi – al di là delle sparate spavalde di qualche suo elemento del tipo “anche senza di voi, di seggi ne facciamo tre lo stesso!” oppure “per noi, fare due seggi da soli o due seggi e mezzo con l’UDC, non cambia nulla!” – è evidente che il nostro appoggio concreto le farebbe comodo.
La controproposta effettuata da parte nostra era certamente ambiziosa, ma non più indecente di quella avanzata dalla Lega (3 Lega + 2 UDC), specialmente se si tiene conto del fatto che a questa si aggiungeva un vero e proprio veto alla candidatura di Marco Chiesa. “Untragbar” (intollerabile) è stato detto, adducendo pretestuosamente le diatribe fra quest’ultimo e Attilio Bignasca in merito al “caso Item” e il fatto che il nostro capogruppo ha detto a suo tempo – nel contesto di una discussione sul sistema maggioritario – di non “sentirsi rappresentato” da Claudio Zali, in quanto ministro subentrato senza elezione. Pretestuosamente dico, perché francamente ritengo molto più verosimile il timore che Chiesa in una lista Lega/UDC potrebbe concentrare su di sé un numero di voti personali espressi puramente in chiave “anti-Lega” dagli altri partiti, rendendolo un concorrente concretamente pericoloso per i due consiglieri uscenti. Comunque, la nostra posizione è stata: “L’unica alternativa per la quale riterremmo di poter chiedere al nostro Comitato cantonale di tornare sulla sua decisione, è quella di una lista unica con tre UDC e due leghisti.” Alternativa che, del tutto comprensibilmente peraltro, è stata respinta dal fronte leghista.
Un vago sapore di ricatto
Dimenticavo di accennare al fatto che la proposta della Lega era subordinata al fatto di accettare un pacchetto globale, ossia la congiunzione per le nazionali a ottobre SOLO se raggiunto l’accordo per le cantonali. È ovvio che si trattava di un tentativo di pressione – in particolare sui vertici UDC nazionali, ai quali interessa unicamente la riconferma dei tre consiglieri nazionali (Lega e/o UDC, non ha importanza) operanti nel nostro gruppo parlamentare alle Camere – affinché UDC Ticino si “sacrificasse agli interessi preponderanti” del partito nazionale. Ma, come detto sopra, in questo caso l’interesse è reciproco, per cui il vago sapore di ricatto che emanava da questo “pacchetto globale” è stato recepito nel giusto modo e non ha ottenuto l’effetto sperato.
Lo dico al maestro…?!
Infine, una mia sensazione del tutto personale: si è voluti andare a tirare la marsina a Christoph Blocher pensando che, saltando le trattative dirette – che comunque, diciamolo, non davano molte speranze di successo – di fronte allo spauracchio di perdere consensi alle elezioni nazionali, ci avrebbe pensato lui a “metterci in riga”. Ma se questa era l’intenzione, l’esercizio non è riuscito, i “maestri” Blocher e Brunner hanno ascoltato attentamente le ragioni di ambo le parti, hanno tentato una mediazione esponendo i vantaggi di un procedere comune senza ostilità ma, giustamente, hanno evitato qualsiasi tentativo di coercizione nei confronti della sezione cantonale.
Si parlerà ancora di questo tema? Mai dire mai. Se a livello di elezioni cantonali non si vedono per il momento soluzioni accettabili, per ciò che riguarda le nazionali, dove l’interesse è effettivamente reciproco, non ci sarà certamente alcuna chiusura preconcetta da parte nostra.
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