“Titano” di Mahler a Lugano e “Guglielmo Tell” a Como
Spazio musicale
Un concerto dell’Orchestra filarmonica di San Pietroburgo, con la partecipazione del pianista Nelson Freire, ha aperto il 16 settembre al LAC la ricchissima stagione di Lugano Musica. Avrebbe dovuto dirigere Jurij Temirkanov ma questi, costretto a rinunciare per ragioni di salute, è stato sostituito da Ion Marin.
L’esecuzione del quarto concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven, prima composizione in programma, si è svolta nel segno della compostezza e della morbidezza. Se ne è avuta l’impressione già con gli accordi ribattuti del pianoforte all’inizio del primo tempo. E se ne è avuta conferma quando sono entrati gli archi, producendo una sonorità più attenta alla fusione e al colore scuro che alla nettezza del ritmo. Questa impostazione generale è stata seguita in modo accettabile dal pianista, il quale ha dato una prestazione notevole per tecnica, scioltezza e fluidità. Mi è dispiaciuto invece il discorso orchestrale. È vero che la composizione può essere concepita come una tranquilla passeggiata nella natura, ma ciò non dovrebbe escludere mordente e varietà di accenti. Invece, per fare un esempio, il secondo motivo dell’”allegro moderato”, che comincia con un elegante guizzo verso l’alto, mi è parso suonato con indifferenza. Le riserve continuano per l’”andante con moto”. Il contrasto tra gli archi e il pianoforte, i primi severi e minacciosi, il secondo intento ad ammansirli con dolcezza e delicatezza, risultando poi vincitore, non c’è stato. Fin dall’inizio gli archi si sono mostrati concilianti e la contrapposizione, cui l’episodio deve la sua originalità e la sua bellezza, è venuta a mancare.
Parole altamente elogiative merita invece l’interpretazione della prima sinfonia di Mahler, cha ha occupato la seconda parte della serata. Tutto pervaso di affascinante freschezza è stato il tempo iniziale, nel quale si è potuta apprezzare, più di quanto accada solitamente, la purezza dei timbri che caratterizza l’opera del compositore. Nel “kräftig bewegt” l’esecuzione del motivo fondamentale, grazie a una felice scelta di tempo e a una scansione ritmica non esageratamente marcata, ne ha attenuato l’andamento un poco rozzo e goffo, facendo invece emergere una sana e lieta bonarietà popolare; delizioso per levità, trasparenza e raffinatezza il trio. Per il terzo tempo si potrebbe discutere all’infinito tra coloro che vi trovano aspetti grotteschi e beffardi (gli animali accompagnanti con perfida ironia il cacciatore, loro nemico, all’ultima dimora) e coloro che invece vi vedono il superamento di questo programma in un brano sostanzialmente serio. L’interpretazione ascoltata il 16 settembre a Lugano mi è sembrata pendere da questa parte. In ogni caso sono stati accuratissimi e di grande bellezza sia il contrappunto sul motivo di “Fra’ Martino, dormi tu?” sia gli interventi successivi degli oboi a terze e delle trombe a terze e seste. Infine nel quarto tempo, il meno valido, gli esecutori hanno saputo evitare la degenerazione in baldoria nei momenti di grande spiegamento di forze orchestrali come pure la caduta di interesse nei passaggi prolissi. Tutto sommato una interpretazione memorabile, che il pubblico ha caldamente apprezzato subissando di applausi il Marin e il complesso ospite.
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Nel “Guglielmo Tell” – l’opera che il 26 settembre ha inaugurato la stagione lirica 2019/2020 al Teatro Sociale di Como – si intrecciano l’insurrezione degli svizzeri, stimolati e guidati dall’eroe di Bürglen, contro i dominatori austriaci e la relazione amorosa tra Arnoldo, valoroso combattente svizzero, e Mathilde, una principessa austriaca, legata quindi alla parte nemica. La vicenda politica interferisce in quella amorosa solo per il fatto che il titubante Arnoldo, a partire dal momento in cui viene a sapere che Gessler, il capo degli oppressori, ha fatto uccidere suo padre, si schiera risolutamente con gli insorti, pur sapendo che la sua decisione gli potrebbe costare la rinuncia a Mathilde. Si può discutere se l’intrico di due trame quasi indipendenti abbia giovato all’opera e se non fosse stato preferibile limitarsi all’una o all’altra. Per conto mio penso che lo svolgimento parallelo delle due storie, anche se allunga oltre misura la durata dello spettacolo, ha portato il pregio della varietà, opportuno se non indispensabile per la vitalità di un lavoro teatrale.
Tanto più che la forza creativa di Rossini è riuscita a infondere valori artistici considerevoli in quasi tutta la partitura. Comincerei menzionando i recitativi, sia quelli che servono a portare avanti il dramma, sia quelli che precedono le arie: sono molto accurati e si avvalgono di interventi orchestrali particolarmente efficaci per il modo in cui mettono in risalto il discorso dei cantanti, lo incalzano o lo commentano. Valga come esempio, nel quarto atto, l’arrivo di Leutoldo recante la notizia che Tell ha assunto la guida della barca, investita da una terribile tempesta, sulla quale si trova anche Gessler. Le sue scarse e turbate parole sono inframmezzate da brevi e secche sottolineature dell’orchestra che utilizzano in modo penetrante i timbri strumentali. Tra le arie primeggia quella di Mathilde all’inizio del secondo atto, dove la voce, preceduta da soavi incisi dei violini che sembrano carezze, si leva in una melodia bellissima. Convincono anche i duetti degli innamorati, nei quali la passione si infrange contro gli ostacoli politici. Resta da parlare dei numerosi cori, in generale assai belli e appropriati alle situazioni. Piace già quello di apertura, un delicato inno al cielo sereno e all’amore. Ma è insuperabile quello conclusivo: sembra un sospiro di sollievo che prende avvio con le voci dei singoli personaggi ma poi si estende a tutti i presenti, si amplifica a poco a poco, accompagnato e sostenuto da un luminoso frammento strumentale ripetuto insistentemente, fino ad assumere una dimensione grandiosa. Rossini lascia che quell’immenso sospiro ponga termine all’opera, rinunciando a fragorose e trionfalistiche perorazioni orchestrali e corali; una lezione di gusto.
Nell’allestimento visto a Como il sipario si apre, prima ancora che cominci la sinfonia, su un elegantissimo salotto nel palazzo di una ricca famiglia. Giunge un ragazzino con in mano il libro della storia di Guglielmo Tell. L’intera opera viene poi mostrata così come la sua fantasia può immaginarsela, ossia come una fiaba. Il ragazzino diventa anche il personaggio di Jemmy, il figlio del protagonista, e rimane in scena durante tutto lo spettacolo. La concezione del regista sembra aver contagiato il direttore musicale Carlo Goldstein: la sua lettura dello spartito è stata compassata, con sonorità tirate a liscio, volta più a stemperare la musica in una atmosfera di fiaba che a dar forza al dramma e quindi morbida, sognante, distaccata e infine scialba. In questo “Guglielmo Tell” scioccamente travisato il colmo è stato raggiunto con la ridicola burrasca salottiera dell’ultimo atto. In palcoscenico Gezim Myshketa ha dato una interpretazione valida del protagonista. Brava Barbara Massaro come narratore/Jemmy. Volonterosi e lodevoli, ma ancora bisognosi di affinamento, gli altri. Ottimo il coro, istruito da Massimo Fiocchi Malaspina. Sala affollatissima, molti applausi.
Carlo Rezzonico