Questo mondo artificiale

Apr 16 • L'editoriale, Prima Pagina • 415 Views • Commenti disabilitati su Questo mondo artificiale

Eros N. Mellini

Leggo su uno dei tanti dizionari disponibili su Internet: «Artificiale: ottenuto con accorgimenti o procedimenti tecnici che imitano o sostituiscono l’aspetto, il prodotto o il fenomeno naturale. Dunque, a monte di ogni prodotto artificiale ce n’è uno naturale che si vuole imitare per svariati motivi: comodità, disponibilità a un maggior numero di persone all’accesso ad articoli e strumenti volti ad agevolare la vita quotidiana, correzione di anomalie genetiche o patologiche, e via di seguito. Dall’invenzione della ruota – sembra attorno al 3500 a.C. – a oggi, è stato un susseguirsi di invenzioni che ci hanno facilitato la vita. Ma dalla prima rivoluzione industriale della metà del 1’700, il ritmo ha preso una progressiva accelerazione, fino a raggiungere un vero e proprio parossismo che, dal secondo dopoguerra, sembra non avere più limiti. Laghi artificiali, satelliti artificiali, fecondazione artificiale, fibre artificiali, organi artificiali, economia artificiale, intelligenza artificiale… solo per citare alcuni esempi. Sembra quasi che oggi il naturale sia ormai una merce rara che quindi, per la legge di mercato della domanda e dell’offerta, possa essere venduta a un prezzo più caro (vedi i prodotti «Bio» che occupano degli appositi settori nei supermercati). Di tutta questa artificialità, ci sono dei settori (la maggior parte) nei quali gli scopi citati sopra sono stati raggiunti, altri nei quali il bilancio benefici/inconvenienti lascia qualche dubbio e altri (pochi) nei quali l’esito è decisamente negativo. In questo articolo, l’attribuzione all’uno o all’altro settore è, naturalmente, personale e confutabile ma, comunque la si pensi, credo che l’argomento sarebbe degno di approfondite riflessioni.

L’artificialità benefica

Nessuno mette in dubbio l’utilità della ruota, dell’evoluzione tecnologica nel settore tessile o sanitario. Il «rene artificiale» (apparecchio per l’emodialisi) ha permesso e permette a molti pazienti di sopravvivere in attesa di un trapianto, la respirazione artificiale è servita e serve a salvare ogni anno centinaia o migliaia di persone dall’annegamento. Ben venga dunque questa artificialità benefica e priva di controindicazioni.

L’artificialità con qualche controindicazione

Se prendiamo, per esempio, i cosiddetti laghi artificiali, ossia quei bacini di accumulo idrico a fini industriali – prevalentemente per produrre energia elettrica – è indubbio che agli indiscutibili vantaggi di disporre di abbondante corrente elettrica «pulita», si contrapponga un duraturo o temporaneo disseccamento dei fiumi che non ha invece alcunché di positivo. Ma la natura ha sempre dimostrato di sapere reagire ai pasticci combinati dall’uomo e nessuno oggi – salvo qualche talebano verde – contesterebbe l’irrisorietà del sacrificio «naturale» di fronte all’enormità dei vantaggi «artificiali» generati dalla corrente elettrica. Altrettanto dicasi delle fibre artificiali che sono andate progressivamente soppiantando la lana o la seta o, per la felicità degli animalisti, le pellicce animali. Come per la plastica, sussistono probabilmente dei problemi di smaltimento ma, tutto sommato, anche qui i benefici sono decisamente superiori agli inconvenienti.

L’artificialità discutibile

È quella i cui effetti negativi sono pari o addirittura superano quelli positivi. Due, a mio avviso, sono i settori più pericolosi. L’intelligenza artificiale e l’economia artificiale. La prima, intesa come la sostituzione del cervello umano con macchine, computer, e mini-elaboratori ad ampio consumo come i-Pod, i-Pad e altri «i-qualcosa» che ormai stanno progressivamente paralizzando le capacità intellettuali e cognitive dell’individuo anche nelle attività più elementari della vita quotidiana. Dei dispositivi artificiali che, come Internet, hanno il pregio di farci accedere a miliardi e miliardi di cognizioni che non potremmo mai assimilare «naturalmente», che fanno praticamente qualsiasi lavoro per noi ma che, nel contempo, ci rendono completamente dipendenti e alla mercè di un consumismo esagerato volto a possedere sempre il modello più recente di questi dispositivi. Ciò, con la facilità di accesso a qualsiasi informazione dataci dalla consultazione della rete Internet, ci fa erroneamente credere che un bagaglio culturale acquisito con lo studio e l’applicazione sia ormai praticamente inutile. C’è, ovviamente, chi investe nella produzione di questi articoli facendosi i classici attributi d’oro ma, la maggior parte di noi sta solo andando vieppiù ad accrescere un enorme gregge di ignoranti e, quel che è peggio, di esseri che hanno rinunciato a pensare con la propria testa per accettare e diffondere pedissequamente il messaggio diffuso via Internet da persone e gruppi interessati. Il cosiddetto «mainstream», il politicamente corretto ci ha ormai contagiato e nessuno osa più sconfessare il re nudo.

L’altro settore molto pericoloso è quello dell’economia. Al contrario dell’economia reale, che si basa sulla produzione e sulla vendita concreta di articoli e servizi, quella che io chiamo economia artificiale poggia esclusivamente sulla speculazione, sull’investimento del denaro in azioni che vanno su e giù a seconda dell’umore del momento dei consumatori e degli investitori, umore spesso «pilotato» cavalcando o creando eventi che nulla hanno a che vedere con la produzione dell’economia reale. Si assiste a una sorta di corsa all’acquisto di  un titolo o di un’azione nella speranza di poterli rivendere a un prezzo più alto, il che crea un insano e ingiustificato aumento dei prezzi al consumo dell’uno o dell’altro bene. Al contrario del sano produrre per vendere e quindi guadagnare, qui è il  denaro che crea altro denaro. Che viene puoi di nuovo investito in altri pacchetti azionari, ma la gran parte non fa nemmeno a tempo a vederla l’economia reale. E mancando una solida base d’appoggio – il mercato reale – spesso l’intero castello salta. Scoppiano allora le famigerate bolle speculative che però non hanno conseguenze per i soli investitori, bensì per tutta l’economia e quindi per tutta la popolazione (vedi crollo di Wall Street del 1929 o la recessione del 2008).

In conclusione, il mondo artificiale è per tanti versi una buona cosa, ma bisogna imparare a viverci con un buonsenso che, purtroppo, sembra diventare vieppiù una merce rara.

Comments are closed.

« »