L’oasi felice UE
Ho terminato oggi 19 maggio 2021 di raccogliere queste notizie. Il giorno 19 maggio del 1906, alla presenza di re Vittorio Emanuele III e del presidente svizzero Ludwig Forrer, viene inaugurato il traforo ferroviario del Sempione, che collega Italia e Svizzera congiungendo Iselle a Briga-Glis. Il monarca italiano brinda all’amicizia tra i due paesi che definisce «eterna e indistruttibile».
Gli ultimi grandi sbarchi a Lampedusa
Nel giro di 24 ore a Lampedusa sono sbarcati 2’128 migranti, un numero molto alto e in crescita rispetto a quello registrato nelle ultime settimane. Gli ultimi quattro sbarchi sono avvenuti nella notte tra domenica e lunedì: sono stati 635 i migranti soccorsi e portati all’hotspot dell’isola, cioè la struttura dedicata alla prima accoglienza, che ora è stracolma e non sembra in grado di ricevere altre persone.
Sono inoltre diverse le imbarcazioni che si trovano ancora nel Mediterraneo: le autorità di Malta non rispondono alle richieste di aiuto e spingono i migranti verso le acque italiane, mentre Guardia costiera e Guardia di finanza di Lampedusa aspettano le barche al confine delle 12 miglia dalle coste per scortarle a terra. Al momento non ci sono navi delle ONG che prestano soccorso ai migranti nel Mediterraneo centrale.
Totò Martello, sindaco di Lampedusa, ha detto di voler scrivere al presidente del Consiglio Mario Draghi perché «il governo deve farsene carico»; secondo i giornali, lo stesso Draghi avrebbe già parlato con la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, per istituire una cosiddetta «cabina di regia» incaricata di gestire l’emergenza. La situazione a Lampedusa è ancora più critica se si considera che l’isola è in zona rossa a causa dell’elevato numero di contagi da coronavirus, e ha avviato una campagna vaccinale che nei piani delle autorità regionali dovrebbe far raggiungere presto la condizione di «Covid free», in modo da non perdere un’altra stagione turistica. Gli stessi migranti – che non sono stati vettori dei contagi sull’isola – dovrebbero essere trasferiti ora su una nave quarantena, che però non è ancora arrivata a Lampedusa.
Secondo le prime ricostruzioni, l’elevato numero di sbarchi registrato negli ultimi due giorni sarebbe da imputare alla riapertura della rotta libica, favorita anche dalle condizioni meteo e dal mare tranquillo: delle 16 imbarcazioni arrivate domenica a Lampedusa solo due arrivavano dalla Tunisia, cioè il paese di provenienza principale delle barche arrivate in Italia nel 2020.
Non si conoscono ancora nel dettaglio i motivi che hanno portato all’aumento notevole delle partenze negli ultimi due giorni, ma la situazione è preoccupante sotto diversi aspetti: non solo per le condizioni precarie in cui si trova la Libia, nonostante la formazione dell’ultimo governo di transizione, ma anche per la crescente instabilità della regione del Sahel, a sud del territorio libico. Il generale caos in cui si trova questo pezzo di Africa sta rendendo praticamente impossibile gestire e governare i flussi di migranti diretti verso le coste libiche, e poi verso l’Italia.
(Il Post maggio 2021)
Cosa vuole fare l’Italia coi migranti
I numerosi sbarchi di migranti a Lampedusa dello scorso fine settimana, più di duemila persone nel giro di 24 ore, hanno costretto il governo di Mario Draghi ad accelerare la risposta italiana a un probabile aumento di flussi dalle coste del Nord Africa che coincide ogni anno con l’inizio della stagione estiva, quando il mare è più calmo e rende più facile mettere in acqua barche e gommoni.
Negli ultimi giorni, il governo ha cercato soluzioni per gestire la prima accoglienza dei migranti, resa più complicata dalla pandemia in corso: da una parte ha tentato di alleviare la pressione sull’hotspot di Lampedusa, struttura che è già stracolma e non sembra in grado di ricevere altre persone; dall’altra sta cercando di convincere l’Unione europea, o un numero soddisfacente di paesi europei, ad accettare un meccanismo automatico di ricollocamenti, oggetto da tempo di negoziati ma che finora ha incontrato parecchie resistenze. La prima soluzione intrapresa dal governo Draghi, quella su Lampedusa, prevede l’impiego di cinque navi che hanno l’obiettivo principale di creare una specie di enorme hotspot in mare in cui tenere i migranti per il periodo della loro quarantena, a causa della pandemia. Le navi, che hanno 3’500 posti in tutto, sono attrezzate per sottoporre i migranti al tampone per il coronavirus e offrire loro assistenza medica. Al momento solo due sono attive, mentre una ha da poco sbarcato a Porto Empedocle (Agrigento) centinaia di persone soccorse due settimane fa nel Mediterraneo. Altre due sono ancora vuote. Nei piani del governo, le cinque «navi quarantena» servono a due scopi. Il primo è quello di garantire «la pace sociale», come hanno detto fonti del ministero dell’Interno a Repubblica, riferendosi alle tensioni nate più volte la scorsa estate in Sicilia e Calabria a causa della fuga di migranti dalle strutture di quarantena; se i 14 giorni di quarantena avvengono a bordo di una nave, scappare diventa praticamente impossibile. Il secondo è quello di alleviare la pressione sull’hotspot di Lampedusa, isola raggiunta sia da sbarchi autonomi sia da migranti soccorsi dalle ONG (i secondi durante la gestione dell’attuale ministra dell’Interno Luciana Lamorgese sono stati finora il 14 per cento del totale). Lampedusa è quindi una specie di «collo di bottiglia» per quanto riguarda l’immigrazione, sia perché è un’isola piccola e quindi poco attrezzata per i grandi numeri, sia perché i trasferimenti di migranti verso il resto d’Italia – compiuti regolarmente per evitare sovraffollamenti – sono lenti e difficoltosi. Gestire i migranti che arrivano via mare sulle navi quarantena dovrebbe teoricamente renderne più corta la permanenza a Lampedusa.
(Il Post maggio 2021)
Quali sono e dove sono le «no-go-zones» in Europa
No-go zones o no-go areas sono due sinonimi con i quali stampa generalista, politica e analisti dell’Europa occidentale fanno riferimento a quei quartieri ad accesso limitato, o persino vietato, dove vige una proibizione di ingresso informale per le forze dell’ordine e i cui abitanti sono sotto il giogo di crimine organizzato e islam radicale. Questi quartieri sono il frutto di decenni di politiche migratorie e sociali connotate da una grave miopia che, con lo scorrere del tempo, hanno cessato di essere dei laboratori di integrazione per assumere la forma di enclavi etniche, le quali, separate dalle società ospitanti da una parete a tenuta stagna, sono divenute dei semenzai di criminalità e radicalizzazione.
I quartieri ad accesso vietato sono estesi a macchia d’olio sulla quasi totalità dell’Europa avanzata, essendo stati oggetto di censimenti e indagini, o venendo denunciati da giornalisti e politici, in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Inghilterra, Paesi Bassi, Spagna e Svezia. Le realtà territoriali perniciose, contrassegnate da elevati indici di radicalizzazione e di agglomerazione di organizzazioni islamiste e/o jihadiste, sono state segnalate anche nei Balcani, come in Bulgaria.
Il problema, in sintesi, non ha a che fare esclusivamente con l’integrazione mancata di alcuni immigrati di origine extraeuropea, e neanche riguarda unicamente l’Europa occidentale, perché le aree ad accesso vietato sono sparpagliate in quasi tutto il Vecchio Continente, dalla Scandinavia ai Balcani, passando per l’Iberia e il Benelux. Una stima precisa del fenomeno delle aree ad accesso vietato non è possibile, anche perché le autorità di alcune nazioni, pur ammettendone l’esistenza, non hanno fornito dati utili al pubblico; sono i casi, ad esempio, di Germania, Inghilterra e Belgio. Nei suddetti Paesi, la conduzione di un dibattito pubblico è complicata dal fatto che coloro che parlano delle aree ad accesso vietato vengono accusati di dietrologia banale, quando non di supporto a teorie del complotto dell’estrema destra, determinando lo stroncamento sul nascere di ogni scambio di opinioni e punti di vista differenti.
La reticenza delle classi politiche e il rischio dell’ostracizzazione non hanno impedito ai ricercatori universitari e ai giornalisti investigativi più ardimentosi di indagare sulle aree ad accesso vietato nel tentativo di squarciare il velo dell’omertà. La disamina più completa del fenomeno è stata realizzata nel 2018 dal Migration Research Institute di Budapest, legato al prestigioso Collegio Mattia Corvino, secondo il quale sarebbero più di 900 i quartieri ad accesso vietato in tutto il continente.
Novecento, un numero che può sembrare esagerato ma che, in realtà, risulta persino esiguo, e forse necessitante di un aggiornamento al rialzo, considerando che nella sola Francia sono stati censiti 150 territori perduti (territoires perdus) dai servizi segreti e 751 zone urbane sensibili (zones urbaines sensibles) dal Ministero dell’Interno, per un totale di cinque milioni di persone esposte quotidianamente all’influenza deleteria di indigenza, emarginazione sociale, islam radicale e crimine organizzato. Omissis.
(Terrorismo Emanuel Pietrobon maggio 2021)
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