Visto l’Olanda? L’effetto Erdogan c’è stato. Ma contro Wilders
Ora si sprecano le interpretazioni sul voto in Olanda, dove il centrodestra ha vinto e il candidato anti establishment Wilders ha ottenuto meno voti del previsto. In termini di comunicazione e di strategie elettorali, l’analisi è piuttosto semplice, benché, a prima vista, paradossale. A favorire questo risultato è stata la crisi con il premier turco Erdogan.
Immagino la reazione del lettore: ma come? Tutti dicevano che la polemica con il governo turco avrebbe favorito Wilders… Infatti questo suggeriva il ragionamento più immediato. Della serie: la Turchia e gli islamici mostrano la loro arroganza. Dunque Wilders ha ragione, dunque gli elettori lo voteranno in massa.
E invece non funziona così. Come accennavo in un tweet qualche giorno fa, è stato il premier uscente Rutte a capitalizzare l’effetto Erdogan per due ragioni. La prima: è stato il suo governo a vietare ai ministri turchi la possibilità di fare un comizio in piazza a Rotterdam e a tenere il punto con fermezza. Il messaggio lanciato agli elettori era esplicito: vedete? Non è solo Wilders a opporsi all’Islam più estremo, quando si supera il segno ANCHE noi abbiamo gli attributi.
La seconda ragione riguarda lo spirito di un popolo. Quello olandese tende all’unione nei momenti difficili, quando ci sono da fare dei sacrifici accantona le differenze. Come spiega Andrea Nicastro sul Corriere della Sera, il cosiddetto polder model, ovvero la necessità di collaborare tra comunità diverse per mantenere aperti i canali di drenaggio e le pompe che impediscono al mare di riconquistare spazio. «Senza il pragmatico sforzo collettivo dei suoi abitanti, i Paesi Bassi oggi avrebbero una superficie pari alla metà di quella che hanno», ha ricordato Rutte.
E nell’impeto della polemica con Ankara molti elettori hanno privilegiato – da veri olandesi – la solidarietà con un premier che, seppur geneticamente scialbo, forse per la prima volta in vita sua ha mostrato coraggio e fermezza nel difendere i valori del Paese di fronte all’arroganza dei turchi. Dunque chi fino a una settimana fa pareva intenzionato a votare per Wilders, all’ultimo minuto ha scelto Rutte.
Tutti fenomeni, naturalmente, che i sondaggi hanno avuto difficoltà a cogliere; a conferma che, nell’epoca dell’elettore liquido e dei social media, questi non sono più gli strumenti migliori per cogliere le tendenze elettorali.
A livello globale questo risultato segna, ovviamente, una battuta d’arresto dei movimenti anti élite, dopo tre vittorie travolgenti in occasione della Brexit, dell’elezione di Trump e del successo del no al referendum costituzionale in Italia. Una battuta d’arresto, non certo la fine. Perché le ragioni che inducono milioni di elettori in tutto il mondo occidentale a cercare risposte alternative restano intatte. Quel disagio è profondo e senza soluzioni concrete esploderà di nuovo. In un’Olanda dove la disoccupazione è sotto il 5% e con un Pil al 2%, la rabbia degli elettori era evidentemente meno intensa che altrove, e la crescente popolarità di un leader come Wilders era motivata soprattutto dalla sfiducia nei confronti della UE e dalla paura per l’immigrazione islamica.
Se non si fosse messo di mezzo Erdogan, in extremis, il risultato sarebbe stato meno confortante per l’establishment.
(Blog. @Marcello Foa Il Giornale.it 17 marzo 2017)
Elezioni Francia, Le Pen guadagna altro terreno nei sondaggi
Gli ultimi sondaggi sulle elezioni presidenziali in Francia danno la candidata anti europeista Marine Le Pen in recupero in un eventuale secondo turno. In un solo giorno la leader del Front National ha ridotto di ulteriori due punti lo svantaggio nei confronti dello sfidante indipendente di centro Emmanuel Macron, l’ex ministro dell’Economia del governo Hollande.
Secondo l’ultima rilevazione diffusa con cadenza quotidiana da Opinionway, se si votasse oggi Le Pen si aggiudicherebbe il primo round di fine aprile con il 26% dei consensi (con Fillon e Macron impegnati in un testa a testa per il passaggio del turno al 20%). Al secondo turno a maggio, la candidata della destra radicale, favorevole al ritorno al franco francese, perderebbe da Macron (40% contro 60% dei voti). Il distacco si è ridotto dal 38%-62% del sondaggio precedente, che al primo turno dava invece Le Pen sempre in testa con il 26% e Macron e Fillon indietro rispettivamente al 21% e 20%.
(17 febbraio 2017, di Daniele Chicca)
Elezioni in Germania
Il 22 novembre correrà per il quarto mandato. Angela Merkel è cancelliera tedesca dal 2005 e in questi 11 anni ha dato una sua personale impronta alle politiche e all’economia dell’Europa come nessun altro leader. Austerità, immigrazione, rapporto con la Russia. Su questi temi la cancelliera continuerà a scrivere la sua carriera politica. La sua CDU, centrodestra, governa in grande coalizione con la SPD di Sigmar Gabriel. Una formula classica in Germania e che probabilmente sarà ancora più utile dopo le prossime elezioni di novembre. Merkel e la sua CDU sono saldamente in testa a tutti i sondaggi, ma ormai anche in Germania la destra populista e anti-immigrati sta prendendo il largo. L’Alternative für Deutschland (AfD) di Frauke Petry cresce nei consensi e l’attentato di Berlino del 19 dicembre di certo non la sfavorisce.
Jean-Claude Juncker.
Secondo Repubblica l’ex primo ministro del Lussemburgo è deluso dalla poca ambizione dei governi europei e potrebbe lasciare entro la fine di marzo per essere sostituito dal rigorista finlandese Jyrki Katainen. Una svolta che andrebbe a danno dell’Italia, alle prese con la richiesta di una manovra correttiva da 3,4 miliardi. Ma un portavoce ha smentito: “E’ stata male interpretata la sua intenzione di non ricandidarsi”.
(di F. Q. | 20 febbraio 2017 Habla Con Gian)
Immigrati
Sarraj positivo: “Accordo con l’Italia è a un punto di svolta”.
Il premier libico conferma il giudizio. “Chi critica non l’ha nemmeno letta”
Un punto di svolta”. Così, in un’intervista alla Stampa, il premier Fayez al-Sarraj ribadisce il suo giudizio positivo sull’accordo raggiunto tra Libia e Italia in tema di immigrazione, precisando come ora si allarghi “il raggio di azione dalla coste ai confini meridionali della Libia”.
Un’intesa, continua, con cui il Paese ha chiesto a Roma di “aiutarci ad affrontare il problema valutando in particolare gli aspetti umanitari del problema, tutelando più possibile i migranti e non parlando solo di centri di detenzione”.
Chiaro, ancora una volta, il punto di vista del premier, che ribadisce come la responsabilità per quanto riguarda il contrasto all’immigrazione clandestina vada suddiviso tra Libia, Italia e Unione Europea. Un punto che aveva messo in chiaro già incontrando Gentiloni a Roma e chiedendo un “impegno economico” da parte di Bruxelles.
Ora all’UE Sarraj chiede anche “forniture di strumentazione e mezzi per la sorveglianza anche nel Sud” e accusa chi parla di un fallimento di non avere “neppure letto” il testo dell’accordo.
Lucio Di Marzo – Lun. 27/02/2017 – 10:47
« A Zurigo un’opera di Trojahn sul mito di Oreste Una politica energetica insensata e paradossale »