La madre di tutte le battaglie sì, ma senza dimenticare la nonna
Il 25 novembre si avvicina e, 26 anni dopo – giusto lo spazio di una generazione – ecco che la “madre di tutte le battaglie” diventa nonna. Infatti, il titolo di “madre di tutte le battaglie” passa alla campagna di voto a favore dell’iniziativa per l’autodeterminazione oggetto del prossimo appuntamento con le urne.
Una votazione d’importanza vitale per il futuro della democrazia diretta che, infatti, se l’iniziativa fosse respinta, smetterebbe di esistere. Venerdì 12 corrente, l’autore del testo volto a salvare la Svizzera dal totale fagogitamento da parte dell’UE (accettato il primato del diritto UE sulla nostra Costituzione, si può dire che la totale adesione del nostro paese alla botte cui sembra attingere spesso e volentieri il suo massimo dirigente, diventerebbe una pura e superflua formalità), il consigliere nazionale e professore di diritto Hans-Ueli Vogt, è stato a Bellinzona a presentare il tema in una conferenza stampa. Che cosa c’è a monte di questa iniziativa? Evidentemente, la subdola tendenza adottata negli ultimi decenni dalla Berna federale – in verità divenuta acuta con la complice sentenza emessa dal Tribunale federale nel 2012 – a porre il diritto internazionale, o anche semplicemente i trattati internazionali, al di sopra della Costituzione federale. In altre parole, a non più riconoscere quest’ultima quale fonte suprema del diritto elvetico quindi, di fatto, a esautorare il popolo e i cantoni della loro qualità di sovrano. Infatti, se il diritto internazionale è semplicemente il frutto delle elucubrazioni di pochi, e spesso non disinteressati, addetti ai lavori (funzionari, giuristi, politici), la Costituzione svizzera e qualsiasi sua modifica sono e devono essere legittimate dal sovrano, ossia popolo e cantoni in scrutinio popolare. Non s’è mai visto un altro paese al mondo adottare automaticamente del diritto straniero in conflitto con la propria Magna Carta, nella fattispecie, nemmeno gli Stati membri dell’UE lo fanno, in primis la grande Germania.
La stessa UE non sottoscrive la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché altrimenti potrebbe trovarsi a dover subordinare la sua Corte di giustizia a delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Ma, secondo l’attuale Berna federale, ciò che l’UE si arroga il diritto di fare, sarebbe proibito alla Svizzera, pena chissà quali ritorsioni. Un atteggiamento pusillanime da far rigirare nella tomba i nostri antenati, che nel 1291 furono pronti ad affrontare senza esitazioni gli Asburgo – e quelli non emettevano sanzioni economiche, picchiavano davvero! – per stabilire chiaramente il proprio diritto all’autodeterminazione.
Ho evocato in precedenza il NO allo SEE del 1992, l’ormai “nonna di tutte le battaglie” non a caso. Infatti, il tema dell’autodeterminazione – termine che raggruppa i concetti di libertà, indipendenza, autonomia – sembra ripresentarsi negli ultimi decenni, un giorno sì e l’altro pure, ossia ogni qualvolta Consiglio federale e Parlamento debbano prendere delle decisioni che coinvolgono i nostri rapporti con l’UE. Sarà che i tempi sono cambiati o invece che lo è la classe politica? Se penso agli ultimi trent’anni, sono più propenso a credere alla seconda ipotesi. La classe politica è cambiata in peggio. Il virus dell’assoggettamento si è sviluppato e ha contagiato una percentuale sempre più elevata di deputati e ministri, che hanno così finito per costituire una maggioranza in grado di operare sempre più efficacemente all’erosione di pilastri che, ancora mezzo secolo fa, parevano inattaccabili.
Fortunatamente c’è l’UDC che, pur non godendo della maggioranza assoluta in Parlamento, ha una forza spesso sufficiente a mobilitare popolo e cantoni – il sovrano – con i referendum e le iniziative e bloccare perlomeno i progetti più irresponsabili e pericolosi che la Berna federale ci propone, spesso sostenendoli con menzogne e minacce di conseguenze catastrofiche peraltro immaginarie. Ma anche il terrorismo psicologico è un’arma da non sottovalutare.
L’ormai “nonna di tutte le battaglie” fu vinta con un risicato 50,3% e una partecipazione che rasentava l’80%. Fu quello che oggi si chiamerebbe un “sequel” del biblico episodio “Davide contro Golia”. Governo, maggioranza del parlamento, tutti gli altri partiti politici, media, “intellettuali” (le virgolette, quando si parla di questa categoria, sono d’obbligo) ed economia, uniti contro un partito che allora aveva si e no l’11% del consenso elettorale. Quell’UDC che, tuttavia, disponeva di due armi dimostratesi poi vincenti: la validità degli argomenti e il sincero patriottismo di chi li difendeva, in particolare quel Christoph Blocher cui – mi sento di affermare senza false adulazioni – la Svizzera deve il fatto di non far parte (ancora) dell’Unione europea. Il fatto che Blocher militasse nell’UDC fece poi sì che questo partito partisse al galoppo verso l’attuale quasi 30% che speriamo di confermare o ancora migliorare nel 2019. Ma, soprattutto, segnò tangibilmente la sua connotazione quale unica forza politica ormai rimasta a difendere i valori storici e fondamentali della Svizzera – libertà, indipendenza e neutralità – anteponendoli a meri interessi economici, spesso miopi e a breve termine. Non che l’UDC sia indifferente agli interessi economici, ci mancherebbe altro; ma non quando entrano in collisione con i nostri valori più sacri.
Oggi, a 26 anni di distanza – un quarto di secolo durante il quale abbiamo dovuto purtroppo assistere a una costante degenerazione della politica estera svizzera (adesione all’ONU, fondi ebraici, neutralità “attiva” di Micheline Calmy-Rey, assoggettamento a tutte le imposizioni provenienti da organizzazioni estere quali OCSE o UE, eccetera) – ci ritroviamo con la stessa posta in palio: la salvaguardia della nostra stessa esistenza quale nazione libera e autonoma.
Contro la nonna: UDC, Christoph Blocher, popolo e cantoni. Contro la madre: UDC, più giovane nei ranghi, ma non meno combattiva, (guarda caso, buon sangue non mente, c’è in prima linea la figlia di Christoph Blocher, Magdalena), popolo e cantoni. Non resta che girare il terzo “sequel” della saga e far sì che, ancora una volta, Davide abbia la meglio su Golia.
Perciò, il 25 novembre, nessuna esitazione: SÌ all’autodeterminazione!
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