I castagni degli altri
I miei genitori (classe anni 20) mi raccontavano che da piccoli talvolta, per fare colazione, rubavano castagne. Attenzione, usavano proprio il termine rubare non raccogliere. Queste storie mi avevano fatto capire l’importanza di questo frutto sano nell’alimentazione (quelle generazioni con un’alimentazione «povera» e senza additivi ci avevano regalato parecchi saggi ultracentenari) e, guardandomi attorno, con l’abbandono del territorio e l’avanzare del bosco mi rendevo conto del potenziale di produzione di castagne esistente. Iniziai così negli anni 80 la pratica dell’innesto, grazie anche al grande rispetto in famiglia del valore e tutela delle varie risorse naturali presenti. Innesto che, di fatto, permetteva di fare di una pianta selvatica una produttrice di frutti di ottima qualità. Ben presto mi resi conto che l’innesto era solo un «piccolo» lavoro iniziale per ottenere un vero albero di castagno produttivo. L’albero di castagno è dedito a produrre alla base del tronco altri piccoli alberi che, se non regolarmente (annualmente) tolti, andrebbero a sfiancare e soffocare l’innesto. Domare la natura selvatica per ottenere un albero da frutto non è un’operazione poi tanto semplice. Richiede parecchie energie, regolarità e costanza. Dopo una decina di anni, iniziai con soddisfazione ad assaggiare i frutti degli alberi innestati e a capire che non tutte le qualità da me introdotte tramite l’innesto erano particolarmente buone o adatte alle particolarità naturali della nostra regione. Dopo parecchi anni di tentativi, giunsi alla conclusione che le migliori qualità a livello di gusto, di finezza della pasta e di forma del frutto erano poi quelle che i nostri anziani avevano già selezionato secoli prima. Giunsi anche alla conclusione che, per fare fronte alle forti diversità microclimatiche dipendenti da stagione a stagione, andrebbero promosse almeno due o tre varietà, così da diversificare l’incidenza di malattie alle foglie. Malattie fungine incombenti dal tipo di stagione (umida, secca e ventosa, tardiva…). Oggi sono attorno, con fasi alterne, ai quarant’anni di pratica dell’innesto. Ho alberi un poco ovunque, che rincorro per cercare di tenere puliti sia a livello di albero sia di terreno sotto l’albero. Tante ore trascorse per assicurare un capitale produttivo e tante ore mancanti per raggiungere un risultato ideale. Situazione frustrante che compenso osservando i frutti e immaginando come sarebbero belli se riuscissi a gestirli bene. Ora preciso la differenza tra raccogliere e rubare. Una volta raccogliere castagne sotto alberi di altri significava rubare, anche se l’atto era giustificato dalla grande povertà, fame e età. Oggi si raccolgono e gli alberi sono lì che si gestiscono da soli, autogestiti. Sciacalli (gente di limitati ideali) a parte, è l’ignoranza dilagante, la distanza dalla realtà che preoccupa. Questo mondo che è diventato piccolo e globale molto in fretta e noi che vaghiamo, consumiamo e assaggiamo con estrema naturalezza e disinvoltura. Siamo spesso persi, sbandati e disarmati al punto di non capire la realtà e confondere causa ed effetto. E già, in questi giorni la causa di tutto è il cambiamento climatico, non una globalizzazione scappata di mano.
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