Catalogna: per sopravvivere, Madrid deve riconoscere l’indipendenza di Barcellona
Omissis. La collocazione a sinistra del movimento indipendentista catalano non è altri che una reazione naturale al posizionamento a destra delle forze centraliste spagnole, che ha trovato il suo culmine nel periodo franchista. Si tratta tuttavia di movimenti dovuti a radici storiche ben più antiche e profonde rispetto alle divisioni politiche contemporanee e che affondano nel cuore dell’identità spagnola.
Solitamente siamo portati a immaginare il fenomeno indipendentista come la volontà di una componente minoritaria e marginale di un popolo inglobato all’interno dei confini di uno Stato che considera straniero, spesso a causa di conquiste pregresse. Questa visione di un popolo maggioritario oppressore contro un altro popolo minoritario e oppresso tuttavia non rappresenta affatto il caso catalano. La Spagna nacque ufficialmente nel 1492 per mezzo dell’unione tra Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona (regno che, a dispetto del nome, era prevalentemente gestito da catalani, soprattutto dai ricchi mercanti di Barcellona). Quando il sovrano aragonese decise di fondere i due regni, non aveva alcun ragione di credere che il suo regno sarebbe col tempo diventato un territorio satellite di quello della consorte.
In quel tempo, infatti, la potenza delle due nazioni era sostanzialmente equivalente, e mentre la Castiglia aveva appena portato a termine la “Reconquista” cacciando i mori da Grenada, il Regno di Aragona era a capo di un vero e proprio impero catalano nel Mediterraneo. Il Mezzogiorno d’Italia e la Sardegna che per secoli rimasero sotto il dominio spagnolo furono una dote dei catalani alla Spagna, una presenza ancora oggi dimostrata dalla presenza della “senyera”, (n.d.r. la tradizionale bandiera catalana a strisce giallo-rosse), nei gonfaloni di molte città e territori italiani.
A conferire al nuovo paese un’identità sempre più “castigliana” mettendo progressivamente ai margini i catalani non furono sconfitte sul campo, bensì vicissitudini della storia che nessuno all’epoca poteva minimamente immaginare. Sempre nel 1492 Cristoforo Colombo sbarca in America, mutando per sempre il destino del giovane regno spagnolo, il quale nei secoli successivi riversò i suoi sforzi verso le coste castigliane dell’Atlantico per costruire il suo enorme impero coloniale. Sulle sponde orientali catalane del Mediterraneo, invece, i traffici commerciali che avevano reso grande Barcellona erano stati resi poco sicuri dall’Impero Ottomano e dei suoi alleati in Nord Africa.
La Spagna perciò diventò sempre più espressione degli interessi e delle aspettative castigliane, con i catalani che subirono un declino non troppo diverso da quello di genovesi e veneziani. Un’agonia che trovò il suo compimento con l’assedio di Barcellona del 1714, che relegò definitivamente la Catalogna a regione minoritaria di una Spagna definitivamente castiglianizzata. Un colpo che la Spagna pagò comunque a caro prezzo in quanto proprio dal XVIII Secolo iniziò il suo declino. Sarebbe opportuno chiedersi quale destino avrebbe avuto l’Impero Spagnolo e i paesi nati dalle sue ceneri se Barcellona si fosse affacciata sull’Atlantico e se al posto della mentalità latifondista ed economicamente sterile dei nobiluomini castigliani ci fosse stato il dinamismo imprenditoriale dei mercanti catalani.
Oggi la Spagna è alla prova del nove e l’utilizzo della forza potrebbe solo peggiorare una situazione già compromessa. La Catalogna non è minimamente paragonabile ai Paesi Baschi, i quali sono stati comunque domati dopo decenni di sofferenza, e pensare di colpirla duramente, addirittura con la forza militare, sarebbe per Madrid come prendere un palo di frassino e piantarselo nel cuore. D’altra parte l’eventuale uscita della Catalogna darebbe il via a una serie di movimenti centripeti tra le altre nazioni non castigliane e ciò porterebbe inesorabilmente alla fine definitiva della Spagna.
Madrid, se intende sopravvivere, non ha altre opzioni che riconoscere al più presto ai catalani il posto che spetta loro dal principio come parte costituente della nazione spagnola. Invece di mandare poliziotti su poliziotti, Rajoy potrebbe cominciare a risolvere la situazione rilanciando il banco rispetto agli indipendentisti proponendo l’inserimento del catalano come lingua ufficiale di tutta la Spagna a fianco del castigliano. Un colpo di teatro che a molti potrà apparire come provocazione, ma che dimostrerebbe a tutti, a partire dagli stessi catalani, quanto la Spagna intenda rilanciarsi e non implodere su sé stessa sotto il peso di un passato che si ostina a non voler riconoscere.
(Il Fatto Qutidiano. M. Annunziata 29/9/2017)
La Catalogna quanto “vale” per la Spagna?
La Catalogna genera un quinto del Pil del paese e ha ragione di essere considerata uno dei suoi motori economici. Ma è anche vero che le sue fortune sono, in larga parte, frutto dell’interdipendenza con Madrid e il suo ancoraggio all’Unione europea. Secondo una ricerca della banca olandese Ing. Direct, molto citata in questi giorni, la regione vale per la Spagna il 20,1% del prodotto interno lordo, il 23% delle esportazioni, il 23,8% dei flussi di turisti e il 17,7% degli investimenti esteri in arrivo dall’Unione europea. In valori assoluti, secondo i dati forniti dalla Generalitat (il governo locale), la regione registra un Pil di 223,6 miliardi di euro, un reddito pro capite di 28.997 euro, esportazioni per 65,1 miliardi di euro e investimenti diretti per 4,8 miliardi di euro. Le imprese che vendono all’estero sono 16’929, un blocco pari al 25,5% dell’export spagnolo. I segmenti forti dell’industria, che vale quasi 39 miliardi di euro, sono alimentari (13,3%), chimica (10,8%) e motoveicoli (9,7%).
Ma se rompesse da Madrid, la regione potrebbe usare l’euro? Non è chiaro. Negli obiettivi della prima ora dei leader indipendentisti, sì. Di fatto, è improbabile e aprirebbe scenari difficili da gestire. Sempre secondo l’analisi di Ing. le prospettive sono due: 1) l’utilizzo di una valuta “regionale”, esposta agli evidenti rischi di credibilità per gli investitori esteri; 2) il mantenimento della divisa unica pur restando al di fuori della UE, come succede già in paesi come il Montenegro. Ma a farne le spese sarebbero indipendenza e tutela delle sue stesse banche. Ad esempio, fa notare Ing., un istituto in crisi di liquidità non potrebbe rivolgersi alla Banca centrale europea per chiedere aiuto e si troverebbe costretta a cooperare con Madrid.
E l’export? Il 45% delle esportazioni è diretto al resto della Spagna e il 65% al mercato dell’Unione europea. Per farsi un’idea, nel 2016 la regione ha esportato nel solo Portogallo più di Cina, Stati Uniti e Giappone messi insieme. I dubbi sulla moneta e l’instabilità del quadro normativo che si genererebbe dopo l’indipendenza rischiano di affossare una delle principali fonti di entrate per la regione. In aggiunta, anche gli investimenti esteri potrebbero essere frenati dall’isolamento dell’economia e da una eventuale rottura con la UE.
(Il sole 24 Alberto Magnani 05/10/2017)
Caos Catalogna
Omissis.
L’ARTICOLO 155 – Se la Catalogna dovesse scegliere la linea dura della dichiarazione d’indipendenza, Madrid potrebbe forzare la mano a sua volta e applicare l’articolo 155 della Costituzione. Il testo prevede che il governo potrà “adottare le misure necessarie” per “costringere” una Comunidad Autonoma al “rispetto forzoso” dei suoi obblighi e alla tutela dell’interesse generale. Di fatto l’invocazione dell’articolo 155 comporterebbe lo scioglimento del ‘Parlament’, la sospensione della regione e verrebbero indette nuove elezioni. Finora non si è mai dovuto applicare la norma, in base alla quale peraltro il governo è tenuto a specificare quali misure concrete vuole adottare e sottoporle all’approvazione del Senato, dove il Partito popolare dispone della maggioranza assoluta. Omisiss.
L’INTERVENTO MILITARE – Qualche giorno fa, il ministero della Difesa spagnolo ha ordinato l’invio in Catalogna di unità dell’esercito per fornire supporto logistico alla Guardia Civil e alla Polizia nazionale. La notizia dell’invio di unità dell’esercito spagnolo in Catalogna, sebbene solamente per fornire supporto logistico alla Guardia Civil e alla Polizia nazionale, appare inquietante per molti osservatori che in questi giorni si trovano a commentare la crisi in atto. Raramente, in tempi recenti, i militari sono stati impiegati in Europa a sostegno delle attività di polizia o, fatto ancora più raro, per ristabilire l’ordine pubblico in situazioni di disordini e potenziale guerra civile. Un intervento del governo spagnolo per assumere il controllo del governo catalano, secondo Puigdemont sarebbe “un errore che cambia ogni cosa”.
(n.d.r. Carles Puigdemont i Casamajó è un politico spagnolo, presidente della Generalitat de Catalunya dal 2016).
(Adnkros 06/10/2017)