Afghanizzazione della comunità mondiale?

Set 3 • L'opinione, Prima Pagina • 405 Views • Commenti disabilitati su Afghanizzazione della comunità mondiale?

Rolando Burkhard

I talebani hanno riconquistato l’Afghanistan in pochissimo tempo dopo il ritiro delle truppe statunitensi. Non tramite una vera e propria guerra, ma mediante una sorta di «acquisizione pacifica», perché di resistenza interna non ce n’è praticamente stata alcuna. Chi è sorpreso? E chi dovrebbe preoccuparsene?

L’Afghanistan è sempre stato, è e rimane uno Stato profondamente musulmano. Con le sue regole, talebani o no. Le idee occidentali sulla governance e sui principi morali gli sono estranee, ma sono state forzatamente applicate sotto la pressione occidentale. Senza successo.

L’interferenza occidentale in Afghanistan è stata avviata dagli Stati Uniti dopo l’attacco di Al-Qaeda dell’11/9 con il pretesto di combattere il terrorismo. I partner europei (NATO) hanno dovuto assecondarli, volenti o nolenti. Si sono inviate forze militari, installato un governo fantoccio, e si voleva nello stesso tempo non solo combattere il terrorismo, ma anche imporre manu militari a uno Stato musulmano una sorta di democrazia e di principi morali secondo il modello occidentale. Senza successo. Era illusorio fin dall’inizio ed è finita nel caos. Ora, gli Stati Uniti si stanno ritirando con la coda fra le gambe, e con loro gli alleati, e stanno vigliaccamente evacuando all’ultimo minuto, ciò che a loro parere sembra ancora degno di essere salvato.

Fin dall’inizio, è stata una folle illusione da parte degli Stati Uniti usare gli interventi occidentali per trasformare con la forza uno Stato profondamente musulmano in una democrazia secondo le idee occidentali. Non hanno dunque insegnato loro nulla le rovinose esperienze di occidentalizzazione in Vietnam, Iraq, Siria, eccetera, eccetera?

I cambiamenti in uno Stato devono venire dall’interno, non possono essere dettati dall’esterno

Sono fermamente convinto che sarebbe molto meglio se ogni Stato di questa terra (USA in primis) assicurasse la legge e l’ordine innanzitutto nel proprio paese invece di interferire arbitrariamente negli affari di altri Stati. Ci sarebbe abbastanza da fare. E ci sarebbero molta meno miseria e conflitti internazionali nel mondo.

Ogni stato si organizza secondo i propri principi e idee politiche storicamente radicati, siano essi religiosi, culturali o di altro tipo. Israele, per esempio, è di cultura ebraica. Gli Stati mediorientali sono musulmani. Noi, in Occidente, siamo perlopiù cristiani. Questo deve essere accettato. A che serve difendere i diritti delle donne in Afghanistan, le minoranze in Cina, i dissidenti in Russia, una diversa politica sulle droghe nelle Filippine, ipocritamente a livello internazionale per la lotta contro la discriminazione, il razzismo, eccetera, eccetera? A nulla. Assolutamente nulla. Ciò vale in particolare per la Svizzera in quanto Stato neutrale. Dovremmo tenercene fuori il più possibile.

Perché ogni Stato reagisce in modo estremamente suscettibile quando gli viene imposto qualcosa da potenze straniere. Domanda: come avrebbe reagito la Svizzera se, per esempio, le Filippine fossero intervenute a livello internazionale all’ONU prima del 1971, perché allora non avevamo ancora introdotto il suffragio femminile (da loro era in vigore da molto tempo)? Probabilmente, in modo drastico!

Dissidenti

Ne esistono in ogni Stato. La resistenza fa parte del relativo dibattito politico interno. Non avviene nello stesso modo in ogni Stato, non tutti gli Stati sono democrazie di 800 anni e conoscono una democrazia diretta «à la Suisse». Ma è il ruolo e la funzione di ogni Stato risolvere i propri problemi in modo appropriato in base al suo vissuto storico e alla sua attuale situazione. Se e finché uno Stato lo fa internamente e senza «esportare» i suoi problemi nel mondo esterno a spese di altri Stati, penso che sia del tutto OK.

Sono quindi piuttosto scettico quando noi in Occidente, nei confronti di certi Stati,  esaltiamo l’atteggiamento occidentale dei loro dissidenti, offrendo loro, oltre all’asilo, anche un’ampia piattaforma propagandistica. A mio parere, le controversie politiche interne devono essere risolte a livello nazionale e non esportate.

Se non sono d’accordo con le decisioni della politica svizzera (cosa che accade occasionalmente, ma sempre più frequentemente), combatto politicamente per le mie convinzioni in patria e, se non funziona come da me desiderato, non vado in Kenya a chiedere asilo politico, per poi lamentarmi da lì contro la Svizzera. Cosa sarebbe successo se, a suo tempo, i nostri Bélier giurassiani avessero combattuto dalla Francia e con un forte sostegno francese per il loro canton Giura?

Sono quindi anche del parere che si debba usare la massima cautela per quanto riguarda l’accettazione di contingenti di «rifugiati» o di migranti afghani in Svizzera. Con la loro «importazione» – presumibile risultato della politica buonista rossoverde che spinge all’estremo i diritti umani – ci tireremo addosso solo degli enormi problemi supplementari. Non avevamo e non abbiamo nulla da cercare in Afghanistan, e se ci sarà un esodo di Afghani, con ogni sorta di danno collaterale in termini di terrorismo, droga, ecc., toccherà agli Stati che hanno causato il danno laggiù occuparsene.

 

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