Un‘intollerabile giustizia politica!
Recentemente si è appreso che due funzionari del segretariato generale di UDC Svizzera sono stati condannati in prima istanza per una presunta discriminazione razziale. Avrebbero violato l’articolo sul razzismo del Codice penale (Art. 261bis), solo perché l’UDC in un’inserzione pubblicitaria aveva riportato un criminale violento (un Kosovaro che, nel corso di una disputa, aveva tagliato la gola a uno Svizzero). Addio libertà d’espressione!
Naturalmente, presa conoscenza di questo caso, si sarebbe tentati di lasciar perdere la cosa con un sorriso di sufficienza. Ciò nella certezza che, in caso di ricorso, questa sentenza tendenziosa presa da un tribunale di prima istanza piuttosto confuso, sarebbe revocata. Ma le cose non sono così semplici. Perché l’articolo sul razzismo – con le sue costanti e incresciose fonti di conflitto fra libertà d’espressione, giustizia e politica – è e rimane un problema che deve essere finalmente tolto di mezzo: e ciò, semplicemente, con la sua revoca.
Una “sentenza politica” titolava l’UDC Svizzera il suo comunicato del 30.04.2015. E naturalmente ha ragione. E come potrebbe essere altro? L’articolo 261bis CPS non dà praticamente al giudice altra possibilità che emettere una sentenza politica. Ma non tocca alla giustizia fare questo.
Naturalmente, si può partire dal presupposto che una legge è sempre buona nella misura in cui viene applicata. È vero. Ma nel caso dell’articolo 261bis CPS, si dovrebbe dire piuttosto che questa legge può essere buona solo se non applicata. E tali inutili leggi devono essere semplicemente abrogate al più presto.
I dolori cominciano infatti già al momento della decisione d’incriminazione da parte del Ministero pubblico. Come dice giustamente in un articolo la “Weltwoche”, in passato si era molto più prudenti. Con la semplice frase “La denuncia è respinta per evidente infondatezza” un procuratore di Zurigo ha regolarmente respinto delle denunce infondate. Oggi, evidentemente per convenienza del Ministero pubblico, queste denunce approdano molto più frequentemente in tribunale.
E ciò obbliga il giudice (o la giudice) a una decisione che, volente o nolente, a causa dell’articolo 261bis, non potrebbe essere più politica. È vero che certi (o certe) giudici ne sono ben felici e vedono in ciò un’opportunità per profilarsi politicamente per mezzo della giustizia. Altri, invece, lo evitano. Come sempre, un articolo del CPS non dovrebbe essere formulato in modo tale non solo da permettere, bensì addirittura obbligare la giustizia a una presa di posizione politica. L’articolo sul razzismo deve perciò assolutamente essere abrogato.
La maggior parte dei funzionari giudiziari ha finora – grazie a Dio – giudicato perlopiù in modo relativamente ragionevole. Io stesso fui oggetto una volta di una denuncia penale per razzismo. In uno dei miei articoli giornalistici avevo pestato ben bene i calli a un nero africano, delegato speciale dell’ONU (per i diritti dell’uomo), che criticava presuntuosamente la situazione in Svizzera in materia di diritti dell’uomo. Gli avevo semplicemente raccomandato di mettere ordine dapprima nel suo paese d’origine a sud del Sahara. Il preposto Ministero pubblico di Berna rinunciò poi a un’incriminazione nei miei confronti.
Trovo comunque sbagliato sottoporre il bene inestimabile della libertà d’espressione in Svizzera, all’arbitrario giudizio di un singolo giudice o tribunale. La Svizzera non deve essere ridotta a uno Stato giudiziario di Ayatollah!
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