Un accordo infarcito di malafede

Feb 6 • L'editoriale, Prima Pagina • 3247 Views • Commenti disabilitati su Un accordo infarcito di malafede

Eros N. Mellini

Eros N. Mellini

Manuele Bertoli e Laura Sadis hanno incontrato Eveline Widmer-Schlumpf e sono tornati da Berna con affermazioni del tipo: “È un accordo positivo e molto importante soprattutto per la piazza finanziaria ticinese”. Perché? Perché l’Italia ci toglierà da una “black list” che, francamente, abbiamo seri dubbi che fosse legittimata a stilare di sua iniziativa, già secondo il diritto UE. Inoltre, nessuno ci ha ancora detto quando la vicina repubblica provvederà a questo passo che, finora, è solo più o meno accennato nella “road map”, termine divenuto ormai sinonimo di fallimento dovuto a ostacoli e insabbiamenti messi in atto dalla controparte più furba (che nella fattispecie non è certamente rappresentata dalla Berna federale).

Quindi, l’obiettivo della cancellazione della Svizzera dalla “black list” italiana rimane per il momento un nostro pio desiderio senza alcuna garanzia di attuazione.

Gli altri due temi che più interessano il Ticino – un aumento considerevole della nostra quota d’imposizione ai frontalieri e la libera circolazione delle persone – non vengono certo risolti a nostro favore. Premettiamo che ai Ticinesi non importa un fico secco se il prelievo avverrà alla fonte o se ci sarà un’imposizione ordinaria da parte italiana o se ci sarà qualche altro dispositivo per far sì che il frontaliere paghi quanto deve all’erario. Ai cittadini di questo cantone importa soltanto che il canton Grigioni trattiene l’87,5% delle imposte alla fonte prelevate dai salari dei frontalieri austriaci, mentre su quelli italiani, il Ticino trattiene soltanto il 61,2%, e quindi pretende l’introduzione di un’aliquota analoga o quasi. Con l’accordo “positivo e molto importante” si lascia supporre che questa aliquota sarà modificata, ma non si sa di quanto. E il fatto che Bertoli affermi che “si spera ancora di fare dei passi avanti” e che “come ticinesi non abbiamo intenzione di cedere sulla questione del 70%…” non è molto rassicurante in questo senso. Il governo ticinese ha finora dimostrato nei confronti di Berna la stessa dose di servilismo che questa ha nei riguardi di Bruxelles, il che ci fa sospettare che la “non intenzione” sventolata ora dal presidente del Consiglio di Stato finirà presto per trasformarsi nell’abituale “Sì buana, agli ordini sahib” di coloniale memoria.

Per ciò che riguarda la libera circolazione delle persone – rispettivamente la sua abrogazione e la reintroduzione di contingenti e tetti massimi – la malafede di Berna è addirittura palese. Il fatto che il Consiglio federale sia disposto a firmare un accordo che prevede già al suo interno la sua nullità in caso che la Svizzera applichi finalmente la volontà popolare espressa il 9 febbraio 2014, dimostra inequivocabilmente che chi ci governa da Berna non ha alcuna intenzione di mettere in atto l’articolo costituzionale per il controllo dell’immigrazione. Se, come afferma – seppure mentendo – urbi et orbi, il Consiglio federale è seriamente intenzionato ad applicare fedelmente l’articolo costituzionale che impone coefficienti e tetti massimi, come può sottoscrivere un accordo nel quale si dice che, in caso di tale applicazione, salta tutto e l’accordo diventa nullo e non avvenuto? “L’Italia ha fatto valere i trattati bilaterali, che legano la Svizzera all’UE, ma anche lì ci sono delle vie d’uscita nel caso l’accordo di libera circolazione dovesse saltare” – ha detto in modo sibillino Manuele Bertoli. Ma cosa significa in realtà? Quali sono queste vie d’uscita? Altro fumo negli occhi per far digerire una pillola amara a un cantone i cui interessi si vogliono sacrificare sull’altare della compiacenza all’UE.

Bertoli ha proseguito, precisando che ci sono tuttavia delle “questioni tecniche che permettono anche in caso di caduta della libera circolazione di immaginare che l’accordo sui frontalieri possa essere perseguito”? Ebbene, ci dica chiaramente quali sono, la popolazione farà presto a capire se esistano davvero oppure no. Ma il fatto che di “questioni tecniche” non sia stato portato neppure un esempio, non può che confermare e rafforzare il nostro scetticismo.

Una ragione in più per portare rapidamente avanti l’iniziativa di UDC Ticino “Prima i nostri”, facendo sì che del binomio “Repubblica e Cantone del Ticino” sia il primo concetto a prevalere. Altrimenti saremo ben presto una provincia anzi, una colonia italiana.

 

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