Situazioni deleterie
Roger Köppel – Capo-Redattore della Weltwoche
Dalla Weltwoche del 14 giugno 2018 l’editoriale di Roger Köppel
La subdola esautorazione del popolo in Svizzera
Evviva, abbandoniamo la Svizzera. Bellissimo, ci arrendiamo. Questa settimana, il Consiglio nazionale ha preso, a larga maggioranza e contro un solo partito, l’incredibile decisione secondo cui nel nostro paese non saranno più le Svizzere e gli Svizzeri, bensì gli stranieri ad avere l’ultima parola. Questo è perlomeno quanto è uscito inequivocabilmente dal mega-dibattito di più giorni sull’iniziativa per l’autodeterminazione dell’UDC.
Qualsiasi cosa venga decisa in Svizzera da popolo e cantoni può o potrà in futuro essere in ogni momento annullata, cancellata con un tratto di penna, dal Parlamento, dal Tribunale federale o dal Consiglio federale. Bisogna soltanto trovare qualche norma internazionale contraria alla decisione popolare in questione ed è finita con la democrazia diretta e i diritti popolari, sul rispetto dei quali, peraltro, tutti i parlamentari hanno prestato un solenne giuramento.
È quasi stato appassionante il modo con cui la ministra di giustizia Simonetta Sommaruga e la maggioranza del Consiglio nazionale hanno sostenuto l’errata opinione che sarebbe meglio se in Svizzera non valessero le decisioni popolari, bensì i decreti internazionali presunti superiori. La Svizzera, pur sempre una comunità giuridica confederata dal 1291, con questa interpretazione è stata degradata a tetro Stato-canaglia, un Sotto-Stato che senza la tutela di giudici esterni sarebbe spacciato. La ministra di giustizia Sommaruga e una maggioranza del Consiglio hanno dimostrato – sotto gli occhi di tutti – quanto poco importi loro della democrazia diretta. Gli elettori svizzeri sono per loro dei bambini in perenne età minorile, un popolo di casi APMA (Autorità di protezione dei minori e degli adulti, NdT) incapace di prendere decisioni autonome e mature. Una consigliera nazionale dei Verdi liberali ha parlato, riferendosi al nostro modello di Stato, sprezzantemente di «Ballenberg». Suonava come un istituto psichiatrico.
Alla stupidità e all’immaturità democratica dei cittadini votanti, la ministra di giustizia e i suoi suggeritori parlamentari contrappongono una saggezza superiore, la loro e dei giudici internazionali che, presumono, sanno meglio degli Svizzeri come i diritti dell’uomo vadano applicati in Svizzera.
Gli oppositori all’autodeterminazione parlano di diritti umani e rispetto degli accordi, ma mirano invece semplicemente all’esautorazione del sovrano costituzionale di questo paese, ossia il popolo e i cantoni. L’abbiamo visto con l’iniziativa contro l’immigrazione di massa. È stata accettata dal popolo, ma non applicata dal Parlamento. Motivazione: l’iniziativa lede il diritto internazionale e non può perciò essere applicata o lo può solo in modo omeopatico. Così ha argomentato, fra gli altri, il portavoce commissionale Kurt Fluri (PLR).
Ma tutto ciò è falso: se a Fluri importasse il rispetto degli accordi, avrebbe rilevato già durante la campagna di voto che l’iniziativa contro l’immigrazione di massa contrasterebbe con gli attuali accordi internazionali e che perciò non si sarebbe mai potuta applicare. Ma non l’ha detto. Al contrario, ancora in febbraio 2014, sotto la pressione dell’appena avvenuta decisione popolare, il deputato solettese affermava ambiguamente in un’intervista, che l’iniziativa sarebbe dovuta essere realizzata il più fedelmente possibile. Aveva forse allora dimenticato quegli accordi internazionali cui si appella tanto ipocritamente oggi?
Naturalmente no, adesso è in corso un ben altro gioco. Sta avvenendo un colpo di Stato contro la democrazia diretta, contro il costituente supremo, contro il popolo e i cantoni. I politici sono contrari all’autodeterminazione da parte del popolo, perché la vogliono per loro. Vogliono legiferare, decidere, gestire, dirigere. A loro non importa l’osservanza del diritto internazionale o dei diritti dell’uomo che, peraltro, sono da tempo ancorati nella Costituzione federale e da questa garantiti. Il diritto internazionale serve loro unicamente quale leva, quale piede di porco, quale arma multiuso per affossare a piacimento le decisioni popolari sgradite. Questo Parlamento e le autorità statali a esso collegate non vogliono una democrazia diretta, bensì una democrazia comandata dall’alto, da loro.
Come la pensa intanto l’élite politica di questo paese, lo indica un’intervista della Frankfurter Allgemeinen Zeitung del 25 aprile 2018 al presidente della Confederazione. In essa, Alain Berset ha detto testualmente: «Tramite iniziative popolari, i cittadini possono lanciare un tema che sta loro a cuore. Poi il Parlamento, con le sue due camere, vede che cosa si può farne nel rispetto della Costituzione vigente e del diritto internazionale.»
Secondo l’attuale presidente della Confederazione, le iniziative popolari sono quindi nient’altro che il non vincolante «Lancio di un tema», una specie di sfogo psicoterapeutico pro forma, una sorta di cosmetica politica. E, «magnanimamente», il Parlamento e l’onnisciente Consiglio federale, affiancati dai giudici di Losanna e pungolati dai media, si degnano di vedere se se ne possa trarre qualcosa.
Questa opinione del presidente della Confederazione, espressa da un vasto fronte nel dibattito sull’iniziativa per l’autodeterminazione, è un affronto, è una chiara violazione della Costituzione federale vigente. Questa stabilisce infatti che: «Il popolo decide se si debba dare seguito all’iniziativa. Se il Popolo l’approva, l’Assemblea federale elabora un progetto conforme.» «Conforme», secondo il dizionario, significa «che corrisponde, che si accorda».
È chiaro, si tratta di una subdola esautorazione del popolo. È chiaro, regna una situazione deleteria nello Stato, non solo nella Posta. La campagna elettorale dell’anno prossimo girerà attorno alla domanda: «Come ti comporti in materia di democrazia diretta?». Gli elettori potranno scegliere fra il mantenimento e lo smantellamento della nostra democrazia, unica e ammirata in tutto il mondo, nella quale le cittadine e i cittadini hanno l’ultima parola. O dovrebbero averla.
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