Frontalieri, basta con le generalizzazioni!

Mar 6 • L'editoriale, Prima Pagina • 4201 Views • Commenti disabilitati su Frontalieri, basta con le generalizzazioni!

Eros N. Mellini

Eros N. Mellini

Ma i frontalieri sono una risorsa per il Ticino, oppure una calamità? Senza i frontalieri, il Ticino sarebbe morto, dicono alcuni. A causa dei frontalieri il Ticino sta morendo, dicono altri. Con la campagna Balairatt avete criminalizzato i frontalieri, hanno detto di noi. Al nostro presidente, Gabriele Pinoja, non passa dibattito che non gli venga rinfacciato di aver detto alla conferenza stampa per la presentazione de La Destra “io voglio bene ai frontalieri”, strumentalizzando questa frase per sottolineare una certa incongruenza con la campagna elettorale testé citata. Come sempre, la verità sta nel mezzo, o meglio ognuna delle due visioni contiene la metà della verità. Io credo che sia opportuna qualche riflessione che rimetta il campanile (fortunatamente il minareto l’abbiamo schivato) al centro del villaggio.

 

Non contro i frontalieri, ma contro la libera circolazione delle persone

 

I frontalieri sono una risorsa o una calamità per il Ticino? L’errore sta nella domanda, che offre la possibilità di rispondere sì o no avendo comunque in parte ragione. In altre parole, i frontalieri di cui abbiamo bisogno perché non disponiamo di sufficiente manodopera indigena (o non ne disponiamo del tutto) sono indubbiamente una risorsa, e anche di altissimo valore. Quelli invece che sono stati assunti solo per sostituire i nostri lavoratori, peraltro perfettamente qualificati, con frontalieri di costo nettamente inferiore, costituiscono una vera e propria calamità – seppure non per propria colpa – perlomeno dal punto di vista di chi con il loro avvento è finito in disoccupazione. Ma in verità, sono l’effetto nocivo della calamità, la causa ne è invece la rinuncia alla gestione autonoma del fenomeno – con i contingenti e i tetti massimi in vigore fino al 2002 – messa stupidamente e colpevolmente in atto dalla Berna federale con l’accordo di libera circolazione, fatto poi digerire al popolo in votazione popolare con una campagna menzognera e fuorviante.

 

Un fenomeno che tocca 15 o 20’000 persone, non 65’000 frontalieri

 

In Ticino abbiamo circa 8’000 disoccupati “ufficiali”, ossia quelli registrati dall’Ufficio preposto, cui dobbiamo aggiungere quelli “non ufficiali” che, pur essendo tali, non risultano perché la statistica non comprende (chissà poi perché) le persone che hanno terminato il periodo di diritto all’indennità e quelle in assistenza. Per facilità di ragionamento, raddoppiamo la cifra ufficiale e ci aggiungiamo ancora un certo margine di errore: ci sembra ragionevole parlare di 15-20’000 disoccupati. Ora, ammettendo che tutti costoro siano idonei al lavoro (ci sono infatti, purtroppo, anche persone in assistenza che, per mancanza di capacità o di volontà, sono inutilizzabili sul piano lavorativo), è di questi casi che ci dobbiamo occupare, non del fenomeno “frontalieri” tout court. Non tanto del fatto che per far fronte all’aumento dei posti di lavoro – che peraltro c’è, e fortunatamente, aggiungo – si impieghino dei frontalieri, bensì che a questo aumento non faccia seguito una corrispondente diminuzione del tasso di disoccupazione indigena che, quando va bene rimane invariato, ma spesso e volentieri, a seconda degli effetti stagionali, tende ad aumentare.

Prima della libera circolazione delle persone, avevamo 35-36’000 lavoratori frontalieri, impiegati in settori nei quali avevamo bisogno di loro, e non si registrava alcun effetto nocivo. Oggi siamo in giro alle 65’000 unità, ma non si può dire che tutti costoro costituiscano un danno per l’occupazione indigena. I precedenti 35’000, più un ragionevole numero conseguente alla crescita economica, sono benvenuti come lo erano fino a 15 anni fa.

Il problema sono, come detto, quelli di quei 15-20’000 che sono disoccupati in settori per i quali sarebbero perfettamente qualificati ma, alla luce della concorrenza d’oltre frontiera cui non si pone più alcun freno, “troppo costosi”. Abbiamo messo tra virgolette “troppo costosi”, perché in effetti, se così fosse veramente, ci sarebbe da chiedersi come abbiano fatto le aziende a sopravvivere fino al 2002, quando contingenti e tetti massimi erano in vigore. Ma purtroppo, la massimizzazione dei guadagni è diventata la regola non solo delle grandi multinazionali disumanizzate, bensì anche di parecchie di quelle piccole e medie imprese che formano la spina dorsale della nostra economia. Certo, se tutte le aziende fossero in questo senso “virtuose” non ci sarebbe bisogno di alcuna misura protezionistica, il problema non si porrebbe nemmeno. Ma così non è, e dobbiamo farcene una ragione e trovare delle soluzioni adeguate, senza però dimenticare che…

 

… un’economia florida è indispensabile per il benessere di tutti

 

Purtroppo, a causa del discutibile atteggiamento di parte delle aziende di cui ho accennato al termine del paragrafo precedente, la popolazione – e in particolare ovviamente chi senza colpa si trova a subirne le conseguenze – tende a fare di ogni erba un fascio e a vedere rosso ogni qualvolta si parla di economia. Quando poi scoppiano i casi di aziende che, a fronte di una svalutazione dell’euro oggi più o meno del 10%, con l’evidente scopo di lucrare sulle altrui miserie, tagliano gli stipendi del 15, rispettivamente del 25%, questa tendenza non fa che acuirsi, facendo dimenticare che, senza un’economia fiorente, verrebbe a mancare il denaro necessario anche a una socialità che sempre di più sta assumendo un profilo di assistenzialismo.

Sarebbe quindi sbagliato togliere all’economia la risorsa del frontalierato, esattamente come lo è l’attuale totale liberalizzazione del mercato del lavoro, dovuta alla libera circolazione delle persone.

Una sorta di protezionismo dei propri interessi è a volte indispensabile, specialmente in casi come il nostro, in cui la differenza di costo della vita fra residenti e frontalieri permette a quest’ultimi quella che a tutti gli effetti è una concorrenza sleale.

 

L’iniziativa del 9 febbraio e “Prima i nostri” sono le soluzioni ideali

 

L’unica soluzione a questo problema è, a livello federale l’attuazione rigorosa dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa del 9 febbraio 2014 e, a quello cantonale, l’approvazione dell’iniziativa UDC “Prima i nostri”, che permette di ancorare gli stessi princìpi nella nostra Costituzione cantonale.

Purtroppo, stiamo assistendo a un ignobile teatrino per non agire in questo senso, messo in atto dalla Berna federale, le cui genuflessioni a Santa UE hanno ormai da tempo raggiunto un effetto a dir poco vomitevole su chi ancora ha il giusto rispetto per i valori in cui credevano i nostri elvetici antenati.

E a livello ticinese, appare altrettanto palpabile l’ostilità al progetto “Prima i nostri” che ha raccolto il sostegno di 11’000 firmatari dell’iniziativa, che vuole spingere le nostre autorità ad appropriarsi di ogni minimo spazio di manovra concessoci dal nostro regime federalista per applicare l’articolo costituzionale – peraltro già in vigore dal 9 febbraio 2014, anche se ancora mancante della legge d’applicazione – volto a reintrodurre i contingenti e i tetti massimi per tutte le categorie di lavoratori contemplate dalla legge sugli stranieri (quindi inclusi frontalieri e padroncini).

Votando LA DESTRA alle imminenti elezioni cantonali, alleggerirete non di poco questa insana ostilità.

 

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