“Accidenti a quei pretacci terzomondisti!…”
Continua dal numero precedente
Articolo di Paolo Camillo Minotti pubblicato per gentile concessione di ticinolive.ch che ringraziamo
(Data la lunghezza dell’articolo, lo pubblichiamo in due puntate)
In ricordo di Elio Bernasconi (Seconda parte)
E.B. era un accanito lettore di giornali, da quelli cui era abbonato (il CdT e il “Nouvelliste” vallesano) a quelli che leggeva al bar (NZZ, Schweizerzeit, Il Giornale, Corriere della sera, più tardi Libero) e nessuna notizia, più o meno importante, gli sfuggiva. Egli era un lettore acribico e meticoloso, come si addice al giornalista scrupoloso. Mi ricordo che quando negli anni ’80 c’erano ancora 6 quotidiani in Ticino, egli li leggeva tutti per trarne qualche spunto di commento o per prendere in giro qualche collega giornalista che aveva scritto una qualche asinata “premiandolo” con una citazione nella sua rubrica “SENZA RETE”, dove riportava dei testi ritenuti poco commendevoli (o involontariamente umoristici) di altri giornali, vuoi perché vi si trovavano dei palesi strafalcioni o vuoi perché vi venivano sostenute delle tesi assurde e contraddittorie; il tono del suo commento era di volta in volta fustigatore o bonariamente ironico. Mi rammento che una volta il compianto prof. Alessandro Lepori scherzosamente gli fece i complimenti, perché Elio aveva messo in rilievo sul “Paese” una stupidaggine particolarmente vistosa che si trovava verso la fine di un articolo di cronaca politica sul “Popolo e Libertà”; e Lepori gli disse: “ma come hai fatto ad avere la pazienza di leggere quella pappardella insignificante fino alla fine e a scovare quella contraddizione? Forse sei stato l’unico lettore del PeL ad averlo letto per intero”.
Ancora lo scorso dicembre, rispondendo alla mia domanda se non avesse problemi di vista e se leggesse ancora regolarmente, mi disse che no, non aveva problemi di vista e che l’unico problema era che con l’età impiegava più tempo a svolgere le faccende di casa, cucinare ecc., per cui gliene restava meno per leggere e che perciò da alcuni anni aveva rinunciato alla lettura in tedesco perché gli richiedeva troppo tempo. Inoltre, anche i giornali italiani li leggeva solo saltuariamente, perché non tutti i giorni usciva di casa. (Occorre dire che da una decina d’anni aveva restituito la patente e, abitando in collina sopra Viganello, scendeva in città col bus, oppure periodicamente con la nipote della sua povera moglie che lo accompagnava a fare la spesa settimanale). “Il CdT però lo leggo tutto, salvo lo sport e gli articoli di Silini”, mi disse.
Qui debbo fare un inciso sui suoi rapporti con i cattolici di sinistra – purtroppo divenuti dominanti nella Chiesa in specie da quando Bergoglio è diventato Papa – e in genere con i moralisti terzomondisti (Da questo punto di vista E.B. era “ecumenico”: che fossero cattolici o laici, i moralisti terzomondisti non li amava). Questi teologi sedicenti progressisti, questi “buonisti” moralisti che ci colpevolizzano regolarmente per la fame nel mondo e per il (presunto) passato sfruttamento coloniale dell’Africa e che ora da un po’ di tempo, con un lavaggio dei cervelli incessante, vogliono convincerci che l’invasione dell’Europa da parte di milioni di africani e di musulmani del Nordafrica e del Medio Oriente sia cosa buona e giusta, E.B. li ha sempre visti come il fumo negli occhi. Egli rispettava la religione (la Chiesa) a condizione che essa restasse nel suo ruolo di curatrice d’anime e monitrice delle coscienze e che non si impicciasse di politica, perché in quest’ultimo caso ne vedeva il grave pericolo di manipolazione, peraltro senza che essa si assumesse le responsabilità delle scelte raccomandate in virtù del proprio magistero. Per Papa Ratzinger aveva stima e ne apprezzava la cultura e la moderazione, ma provava una spiccata insofferenza contro l’orientamento politicizzato delle associazioni e istituzioni ecclesiali in Svizzera, addirittura negli ultimi anni con raccomandazioni di voto su temi come l’iniziativa per l’autodeterminazione o quella sull’utilizzo dei detective per combattere gli abusi da parte delle assicurazioni sociali (sic!)! Perciò non sono rimasto sorpreso che egli abbia voluto una cerimonia funebre senza preti. È possibile che con l’andar del tempo egli fosse giunto a un agnosticismo convinto, anche filosofico; non saprei dire con certezza, perché non son cose che si abbordano con facilità, anche tra amici assidui. Credo che questo suo convincimento si fosse accentuato dopo la morte della moglie. Ma ad ogni modo egli si era convinto da tempo che la Chiesa, assieme a molti intellettuali, avesse commesso per così dire una “trahison des clercs” (per riprendere il titolo del famoso libro dello scrittore francese Julien Benda) e che fosse ormai diventata “una istituzione che non serve più”, come mi disse due o tre anni fa. Egli aveva una personale etica diciamo così “stoica”, comportandosi con rettitudine senza bisogno del supporto di una religione praticata e dei suoi riti.
E.B. sapeva anche gustare i lati buoni e piacevoli della vita, in particolare coltivava la passione per la cucina e la buona tavola. Insomma, si trattava bene. Anche prima di restare vedovo (la signora Alice morì oltre 10 anni fa), egli amava preparare il pranzo ed era un cuoco di tutto rispetto. Per un certo periodo, fino alla cessazione dell’esercizio alla fine degli anni ’60, la moglie aveva ripreso la gestione del ristorante di famiglia (Taddei) a Castagnola; ed Elio – che da giovane aveva fatto il rappresentante – l’aveva allora coadiuvata nelle incombenze di cucina, nel fare la spesa e nel servizio ai clienti. E siccome egli amava fare tutte le cose in modo accurato, si era acconciato a perfezionarsi nell’arte culinaria. L’arte della cucina s’accoppia bene con il lavoro intellettuale, perché costringe a un’attività anche manuale e distende i nervi, favorendo l’istaurarsi di un equilibrio nel ritmo della giornata. Inoltre, la degustazione del piatto è ancor più appagante nel caso che lo si sia preparato da sé stessi.
Dicevo all’inizio che Elio era un fumatore accanito di sigarette: appena finito di fumarne una e averla spenta nel portacenere, si apprestava subito ad accenderne un’altra per accompagnare la conversazione; sembrava quasi che la sigaretta lo ispirasse, perché le migliori battute gli venivano dopo aver dato un tiro alla sua Parisienne. Peraltro ciò non gli ha impedito di arrivare in condizioni di salute invidiabili fino ai 95 anni compiuti. Lui asseriva di non respirare il fumo e che perciò il fumare non gli nuocesse, ma questa tesi non mi convinceva molto; a mio avviso era semplicemente di solidissima tempra e perciò, nonostante il fatto che fumasse, campò tanto e non si ammalò mai fin quasi a 90 anni. La buona salute e la longevità dovevano essere nel suo DNA, perché già il padre Luigi morì 92enne, ma solo perché era stato investito da un motociclista mentre attraversava una strada nella sua Chiasso.
E.B. è sempre stato una persona informata e aggiornata sulla vita di tutti i paesi del mondo, sulla natura e sulla scienza, con il piacere e la curiosità di farsi un’idea e una ragione dei fenomeni del nostro universo e dell’umanità; apprezzava per esempio le trasmissioni scientifiche divulgative di Piero Angela o di altri bravi divulgatori scientifici, mentre non amava il pressapochismo, l’insipienza e la frivolezza purtroppo diffusi un po’ dappertutto e anche nei giornali e nelle tivù.
Egli era la negazione vivente della caricatura che gli “europeisti” e gli internazionalisti di casa nostra fanno solitamente degli avversari dell’adesione all’UE e dei difensori delle sagge prerogative democratiche e di libertà svizzere, visti come chiusi e provinciali; al contrario, E.B. era uno spirito intellettualmente più aperto di certi europeisti faziosi e imbottiti di pregiudizi antisvizzeri e di certi terzomondisti provinciali e scioccamente prevenuti verso tutto ciò che fa parte della tradizione occidentale.
E.B. era una persona spiccatamente razionale e che faceva fede al sapere della scienza; in molte discussioni anche di questi ultimi anni (vedi per es. il riscaldamento climatico) egli diffidava delle “mode” che inducono a enfatizzare delle tesi non dimostrate e che cozzano contro l’evidenza logica e storica. Per esempio, mi ricordava spesso, a proposito del riscaldamento climatico, un fatto storico inoppugnabile: la Groenlandia era nel Medioevo una terra dal clima temperato (d’altronde il nome stesso lo dice: nell’idioma vichingo significa “terra verde”); e parecchie testimonianze storiche attestano che il passaggio di Nord-ovest nell’arcipelago artico canadese era in quell’epoca costantemente navigabile; il clima si raffreddò poi di nuovo a partire dal 1350-1400 e fino all’Ottocento. Orbene come spiegare quei cambiamenti, ritenuto che a quel tempo non c’erano ancora le emissioni di CO2 dovute all’uso di carbone e petrolio e, d’altra parte, l’umanità era molto meno numerosa di oggi, perché la scarsità di riserve di cibo oltre a epidemie e guerre impedivano un’esplosione demografica eccessiva, e che quindi non poteva certo causare un impatto significativo sull’atmosfera? Per non parlare poi delle glaciazioni e deglaciazioni più importanti e che si sono alternate su tempi più lunghi, di svariati millenni.
È perciò storicamente dimostrato che il raffreddamento e il riscaldamento terrestri obbediscono in gran parte a fattori indipendenti dall’uomo, quali i cicli solari, i cambiamenti dell’asse terrestre, eccetera. Ciò non significa che non bisogna preoccuparsi dei problemi ambientali, però occorre diffidare delle enfatizzazioni strumentali e occorre sempre mantenere un approccio razionale. Senza dimenticare che la principale causa (o perlomeno la concausa determinante) di tutti gli squilibri ambientali – e occasionalmente anche della fame e delle guerre – a livello globale, è l’esplosione demografica; ma stranamente questo è un argomento-tabù, siccome non lo si può ragionevolmente attribuire all’Occidente ma andrebbe imputato ai Paesi “in via di sviluppo” dove allegramente si continua a razzare come conigli…
Sul riscaldamento climatico (e soprattutto sui modi per farvi fronte!), così come su altri temi, infastidiva E.B. il fatto che i mass-media spesso ripetessero acriticamente degli slogan, anziché favorire l’approfondimento e il dibattito tra persone competenti.
Se volessi andare al nocciolo e spiegare in due parole l’atteggiamento di E.B., direi che egli era uno che ragionava con la propria testa e non si accodava mai a una posizione solo per il fatto che fosse sostenuta da molti o dai più, ma voleva prima verificarne il fondamento con il suo raziocinio. Questo lo portava ad avere scarsa considerazione di chi invece ripeteva per conformismo o per opportunismo l’opinione prevalente e, viceversa, naturalmente costoro non lo amavano perché erano imbarazzati dalla sua indipendenza di giudizio.
Di questa indipendenza E.B. pagò in qualche occasione il prezzo; ma si comportò sempre da perfetto gentiluomo, non recriminando mai per eventuali torti subìti o per non essere stato trattato con il riguardo che forse avrebbe meritato. Dimostrò una notevole dose di umiltà e di dedizione alla causa, il suo impegno fu sempre disinteressato e semmai profittò ad altri personaggi più in vista. Egli poteva apparire talvolta anche a qualche amico – me compreso – come troppo intransigente. Un amico lo soprannominò una volta “Suslov”, per analogia con l’ideologo del PCUS (e sottintendendo naturalmente nel caso di Elio un’ideologia di segno opposto), e questo appellativo lo usammo poi scherzosamente per molto tempo in una ristretta cerchia per così dire come “nome in codice”; anche lo stesso compianto dottor Gianfranco Soldati lo chiamava, tra il serio e il faceto, il “custode dell’ortodossia” della destra. Ma si trattava a mio avviso di appellativi ingiusti (o da considerare per ciò che valevano = cioè delle battute scherzose), perché Elio non era un fanatico e non assomigliava neanche da lontano a un apparatchik comunista come l’ideologo supremo del PCUS.
E.B. metteva sempre in prima fila l’idea, la causa comune, l’interesse superiore (del proprio schieramento, del nostro paese), e mai il proprio tornaconto, la propria personale gratificazione o l’interesse elettorale di questo o di quel candidato. Assomigliava, se ci penso, all’ideale del cittadino (e dell’uomo) come è tratteggiato dai grandi saggi come Marco Aurelio; in primo luogo il fatto di badare di essere indipendente anche economicamente al fine di non dover venir meno ai propri princìpi e non causare fastidi ad altrui, e poi di asserire sempre il vero (o quello che crediamo in buona coscienza essere il vero) qualunque conseguenza possa derivarne e, infine, servire disinteressatamente l’ideale di giustizia e la patria senza sperarne ricompensa. Egli è stato una di quelle persone che – pur con qualche occasionale divergenza di vedute – non mi deluse mai per questo o quel comportamento. Era coerente e affidabile. Anzi col tempo viepiù imparai ad apprezzarlo.
Addio Elio.