Wagner e Bruckner con Chailly a Lucerna
Spazio musicale
Il nono concerto sinfonico del Lucerne Festival 2018 ha fatto ascoltare all’inizio l’ouverture del “Rienzi”, terza opera di Wagner. Si dice che i grandi ammiratori del musicista tedesco parlino malvolentieri di questo lavoro. In effetti il “Rienzi” fu scritto in un periodo di tempo in cui il compositore, ancora molto giovane, elogiava caldamente i melodrammi italiani e francesi ma criticava con durezza quelli tedeschi, al punto che certi suoi testi di pochi anni prima, riletti oggi, sembrano redatti da un antiwagneriano. Inoltre dichiarò apertamente che suo scopo era di creare un’opera grandiosa, da allestire con mezzi imponenti e destinata solo a grandi teatri. Naturalmente l’ouverture segue i medesimi criteri e quindi non manca di passaggi magniloquenti e di dubbio gusto. Piace però menzionare anche la presenza di qualche momento tranquillo ed espressivo, ad esempio il bel motivo della preghiera di Rienzi, che viene anticipato subito dopo le battute introduttive: in esso si manifesta la figura del protagonista così come Wagner la idealizzò, spogliandola degli aspetti negativi che ebbe sia nella storia sia nella descrizione datane dall’inglese Edward Bulwer-Lytton nel romanzo da cui venne tratto il libretto. Lo Chailly ha diretto in modo equilibrato, cercando di attenuare i “patapum” di una musica assai lontana da quelli che sarebbero diventati i principi del compositore.
Anche il brano successivo, l’ouverture del “Vascello fantasma”, è impetuoso e trascinante, ma in modi e con esiti artistici completamente diversi. Qui non c’è l’aspirazione al grandioso puro e semplice, agli effetti fini a se stessi e in ultima analisi ai consensi di un pubblico desideroso di cose spettacolari. Invece la musica si sostanzia di concezioni filosofiche, di situazioni intensamente sentite e di autentica forza, facendo nascere un vero capolavoro. Bella e ricca di slancio è stata l’esecuzione ascoltata a Lucerna.
La seconda parte del concerto ha presentato la settima sinfonia di Bruckner: è la sua composizione più apprezzata, che alla prima assoluta del 30 dicembre 1884 a Lipsia non riscosse approvazioni unanimi ma poco più di due mesi dopo, a Monaco, venne accolta con entusiasmo. Austerità, solennità e religiosità sono elementi fondamentali di quasi tutta la produzione del compositore austriaco. In questo lavoro però portarono a risultati artistici più elevati del consueto e in qualche punto eccelsi. Tale è ad esempio il primo tema del primo tempo, che esordisce innalzandosi con arpeggi per due ottave, come il pensiero di un uomo che si rivolge a Dio e poi, procedendo quasi esclusivamente per grado congiunto, dà corso a una ardente preghiera. Purtroppo anche nella settima sinfonia l’ispirazione di Bruckner non è costante e le pagine sublimi si trovano spesso accanto ad altre mediocri o prolisse. Il discorso vale anche con riferimento all’architettura generale della composizione in quanto a un “allegro moderato” e a un “adagio” ricchi di straordinarie bellezze seguono uno “scherzo” macchinoso, rude e privo di agilità e un “finale” poco convincente, nonostante la presenza nelle parti iniziali di due motivi pregevoli.
Luciano Chailly ha fatto di questa sinfonia una espressione di raccolta spiritualità, attenuando i contrasti e moderando
l’ampiezza dei passaggi grandiosi e spettacolari. Nell’”allegro moderato” il secondo tema, pur possedendo caratteristiche chiaramente diverse da quelle del primo, non ha portato un cambiamento di atmosfera sensibile. Anche il terzo, a sua volta molto diverso dai precedenti, è emerso in punta di piedi e si è fatto notare poco. Certamente in entrambi i casi andava rispettato il “piano” prescritto dalla partitura, ma anche nell’ambito di una dinamica uguale è possibile dar vita ad accenti e caratteristiche distinti. Lo stesso discorso va fatto per l’inizio dell’”adagio”, dove a quattro battute che sembrano una composta e umile preghiera segue un passaggio energico, teso, nel quale appare improvvisamente un atteggiamento nuovo, come se l’uomo cadesse nella disperazione oppure manifestasse a Dio una decisa richiesta. Qui l’intenzione del compositore di creare uno stacco netto è evidente sia per il passaggio dal “piano” al “mezzoforte”, sia per il cambiamento dell’organico strumentale, prima costituito da ottoni, viole e archi bassi e poi dai soli archi, adesso però al completo. Anche in questo punto lo Chailly ha mirato, non tanto al contrasto quanto alla continuità. Infine, per concludere l’esemplificazione, osservo che perfino il motivo di valzer non ha prodotto un cambiamento significativo ma, per così dire, si è infilato furtivamente nel tessuto musicale. Una linea del genere, applicata a Bruckner, il quale anche nelle opere migliori si perde talvolta in lungaggini, fa cadere, qua e là, nella monotonia e nel grigiore. Detto questo occorre mettere in rilievo anche i numerosi pregi di una esecuzione per alcuni versi ammirevole: innanzitutto il grado altissimo di accuratezza in ogni sia pur minimo particolare, poi la qualità dei fraseggi, i “legati” meravigliosi, le sonorità perfettamente fuse e in generale le capacità straordinarie di un’orchestra, quella del Festival, veramente grande. In sintesi: abbiamo avuto una attuazione eccellente di una idea interpretativa discutibile. Sala completa, molti applausi.
Sobrio Festival
Tra le molte iniziative musicali attuate nel Canton Ticino il “Villaggio della Musica” di Sobrio, in Valle Leventina, spicca per l’originalità e l’entusiasmo degli organizzatori, con alla testa il pianista Mauro Harsch. L’attività si svolge soprattutto nella “Casa Gustav Mahler” e consiste in corsi, settimane di studio, concorsi e concerti. Inoltre nel mese di luglio la Chiesa di San Lorenzo e la Casa Mahler stessa ospitano un Festival dedicato alla musica pianistica e da camera con artisti affermati e giovani di talento.
L’edizione 2018 della rassegna si è chiusa il 29 luglio con un singolare concerto dedicato a trascrizioni pianistiche di musiche wagneriane per commemorare il centocinquantesimo anniversario della permanenza del compositore a Faido. L’inclusione nel programma di un brano dal “Rienzi” e della morte di Isotta, entrambi i pezzi nella trascrizione di Liszt, ha messo in evidenza l’estensione del percorso compiuto da Wagner tra la magniloquenza e i facili effetti dell’opera giovanile, dovuti al desiderio di conquistare i favori del pubblico parigino, e la catarsi di Isotta in quello che è uno dei più alti momenti di tutta la letteratura operistica. Tra i due poli la distanza in termini di contenuti e di valori artistici è enorme. I pianisti impegnati – Salvatore Gitto per Isotta e Lorenzo Grossi per il brano dal “Rienzi” – hanno conferito a ciascun aspetto della personalità wagneriana il dovuto risalto. Un compito non facile, particolarmente per quanto riguarda Isotta, poichè un conto è suonare su un pianoforte la versione di un’opera italiana, dove di regola una melodia domina incontrastata, e un altro conto inoltrarsi nelle innumerevoli diramazioni del complesso pensiero musicale del musicista tedesco. A quattro mani i due interpreti hanno poi eseguito una trascrizione di Carl Tausig dell’ouverture dei “Maestri cantori”. Il programma è stato integrato da “Albumblatt WWV 94” per violino e pianoforte, che ha permesso alla violinista diciottenne Veronika Miecznikowski di far emergere, non solo una buona preparazione tecnica, ma anche una ammirevole sensibilità nella cura della cavata e del fraseggio nonché una intensa partecipazione espressiva.
Carlo Rezzonico
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