Verità o «fake news»? Ma chi se ne frega!
I teorici del complotto ci sono stati anche prima (l’allunaggio degli Americani creato in uno studio cinematografico, assassinio di Kennedy perpetrato dalla CIA, attacco alle torri gemelle ordinato dalla Casa bianca, eccetera) – e non sto a disquisire se avessero ragione o no, la verosimiglianza di certi fatti addotti come «prova» a sostegno è spesso pari a quella diffusa come realtà dalle fonti ufficiali – ma oggi, con il moltiplicarsi dell’informazione o della disinformazione online, non si riesce veramente più a raccapezzarsi: complottisti e allineati al «mainstream» e al «politicamente corretto» sono ormai tutti complottisti. Perché in realtà – a parte probabilmente pochi «addetti ai lavori» che però, alla luce della miriade di informazioni contrastanti diffuse quotidianamente, non si sa in che campo militino – la gente crede a quanto le viene propinato dai media schierandosi senza alcuna comprovata cognizione di causa da una parte o dall’altra. In altre parole, entrambi i fronti non hanno altro supporto alla loro tesi che delle notizie propinate loro dai media, senza alcuna prova, senza alcuna testimonianza sicuramente degna di fede.
Putin sta attaccando, conquista territori… Putin sta arretrando, sta perdendo la guerra
Ogni giorno ci arrivano notizie «dal fronte». Peccato che in contemporanea arrivino informazioni secondo cui i Russi starebbero avanzando e altre, secondo le quali starebbero arretrando. Ovviamente, le prime sarebbero false per la corrente politicamente corretta (Putin è un mascalzone, quindi DEVE essere sconfitto, se non di fatto perlomeno sulla carta), mentre le seconde vanno diffuse esaltando l’eroica e vittoriosa resistenza ucraina. Personalmente, non fosse che per la disparità delle forze in campo, sono più propenso a credere alla prima ipotesi, ma anch’io non ho cognizione di causa – anche se, a differenza della maggior parte dei critici e pseudo-esperti da tastiera, io non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo. Forse, ho il vantaggio di aver approfittato dell’esperienza di 74 anni di vita per acquisire una certa dose di insensibilità, che scandalizzerà forse gli odierni fautori dello sdegno e dell’indignazione generalizzati, ma che mi rende immune da qualsivoglia influenza del «mainstream».
La filosofia dei cerchi concentrici
Ho detto «una certa dose» di insensibilità, perché non sono del tutto sprovvisto di empatia, solo ho imparato a riservarla ai singoli individui, almeno quella che si traduce in atti concreti. In altre parole, se non avrei difficoltà a invitare a cena un poveraccio palesemente affamato (dargli i soldi no, c’è il rischio che li spenda in altro modo), sono decisamente meno o non del tutto toccato dal fenomeno della fame nel mondo. La sensibilità più astratta, quella verso masse lontane dalla mia realtà quotidiana, lo ammetto, non è fra le mie qualità primarie. Io ritengo che il mondo e i suoi problemi siano troppo grandi e complicati perché io possa pensare di cambiarli con il mio contributo. Sono un sostenitore dell’antico adagio «Spazza davanti alla tua casa e tutta la città sarà pulita», ma sono nel contempo ormai troppo realista per pensare che questo proverbio si realizzerà mai. E allora, ho sviluppato una filosofia di vita che definisco «dei cerchi concentrici». In tali cerchi dispongo per importanza i miei interessi. Nel primo, perdonatemi il mio egoismo, ci sono io e soltanto io. Nel prossimo cerchio, di poco inferiore per importanza, pongo la mia sfera familiare, gli amici e gli animali domestici. Nel terzo girone, il mio comune, nel quarto il mio cantone, nel quinto la mia nazione… e mi fermo qui, avrei bisogno al minimo di 50 vite per risolvere tutti i problemi di questo seppure circoscritto spazio. Non bisogna allora nutrire alcuna compassione per le vittime della guerra russo-ucraina? O per le vittime della fame nel mondo? Nessuno dice questo, ma è sbagliato lasciarsi coinvolgere pensando di potervi porre personalmente rimedio. D’accordo che Madre Teresa di Calcutta diceva: «Sappiamo bene che ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe». Ma anche lei era ben conscia che il suo campo d’azione era la sua goccia (una minima parte dell’India), non l’intero oceano.
Cinismo, egoismo? Forse sì ma, sicuramente sano realismo
Negli anni, questa filosofia mi ha indotto a fare dello scetticismo la base di ogni ragionamento, dell’imperturbabilità una regola di vita, del «e chi se ne frega» una saggia massima applicabile nella stragrande maggioranza dei casi. Con il tempo, si impara che tutto è relativo, anche l’importanza. Più esterno è il cerchio, e tanto minore è l’importanza di ciò che vi avviene. Cinismo? Forse. Egoismo? Certamente. Ma se togliamo a questi due termini l’accezione negativa che il politicamente corretto ci impone, ci resta un sano realismo che ci permette di valutare con il dovuto distacco gli avvenimenti, senza lasciarci influenzare dalla propaganda mediatica propinataci quotidianamente da tutti i fronti interessati. Non abbiamo più bisogno di distinguere una «fake news» dall’altra.
Verità? «Fake news»? Ma, in fondo, chi se ne frega!
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