Una strana convalescenza (I. puntata)
(enm) Finita la cura del sonno, G.C. si guardò allo specchio e non credette ai propri occhi. Lui, che si era sempre ritenuto un longilineo, si era arrotondato come un balenottero e, guardandosi di profilo, notò che, oltre che da una certa pancetta, era gravato da un «sederone» enorme. Salì con precauzione sulla bilancia di casa e impallidì. Quindici chili in più stavano a proteggergli, così dicevano gli amici, il sistema nervoso. Passato il primo schock, decise comunque di passare una quindicina di giorni di convalescenza in uno di quei posti balneari tranquilli, dove magari potesse fare un po’ di sport. Andò a un’agenzia di viaggi e, siccome la tranquillità bisogna pagarla, scelse un albergo di lusso in un paesino poco conosciuto dell’Italia del sud, il cui nome sembrava uno scioglilingua. Dal prospetto, potè notare che l’albergo, oltre a essere modernissimo e dotato di tutti i comfort, disponeva di piscina, campi da tennis, minigolf, night club, eccetera. A pagamento separato c’erano pure una pista per go-kart e un maneggio per cavalli. Acquistò due biglietti per l’aereo e prenotò una camera doppia per quindici giorni. Lui, dell’aereo aveva una paura pazza, ma il medico gli aveva proibito di guidare e della moglie, alla quale del resto avevano ritirato la patente per tre mesi, non si fidava, perciò fece buon viso a cattiva sorte. Un amico gli consigliò di prendere 10 mg di un certo calmante e di bere un paio di whisky mezz’ora prima della partenza, così avrebbe dormito durante tutto il viaggio. L’idea gli parve buona e la mise in pratica, dimenticando però due piccoli particolari, e cioè che per prima cosa assumeva già dei calmanti prescrittigli dal medico e, secondariamente, che l’aeroplano avrebbe potuto subire dei ritardi, ciò che puntualmente avvenne. Fu così che, grazie alla doppia dose di medicamenti e all’effetto dell’alcool, si addormentò in sala d’aspetto. Quando Cornelia riuscì a svegliarlo quel tanto che bastava per cariarlo sull’aereo, questo era ormai partito e dovettero passare la notte a Milano. Il mattino dopo salì sull’apparecchio, ma non ebbe il coraggio di ripetere l’esperienza, anche a causa della ferma opposizione della moglie. Così ebbe paura, soffrì il mal d’aria e, immensa figuraccia, fu l’unico degli 88 passeggeri a usare il sacchetto posto nello schienale del sedile anteriore. Il volo durò poco più di un’ora, ma fu abbastanza. Decise che per il viaggio di ritorno avrebbe preso il treno il quale, nonostante gli fosse odioso e perciò l’aveva evitato, era sempre meno detestabile di quell’orribile ordigno volante. Dopo due ore di torpedone sotto una cappa torrida, arrivarono finalmente all’albergo. Sudati e appiccicaticci, chiesero di poter salire in camera a cambiarsi e furono subito accontentati. Temendo di farsi «fregare» la sala da bagno dalla moglie, il Ciarconazzi la chiamò sul balcone ad ammirare il panorama che era davvero magnifico poi, con uno scatto improvviso, rientrò in camera e la chiuse fuori malgrado le proteste. Si svestì in fretta, fece la doccia, si asciugò e, finalmente, andò a far rientrare la moglie dalla quale fu insultato ferocemente. G.C. prese a ululare in maniera strana e Cornelia, temendo una nuova crisi di nervi, lasciò perdere e andò a lavarsi a sua volta. Era quasi mezzogiorno e il Gino andò al bar ad aspettare la moglie. Quando questa arrivò, lui aveva già fraternizzato con un Milanese conosciuto, o meglio intravisto, sull’aereo, il quale gli aveva confessato la sua passione per il tennis. Bevendo l’aperitivo combinarono un incontro per il giorno dopo. Il Milanese avrebbe pensato a prenotare il campo. Il pomeriggio lo passarono a osservare il posto e le sue infrastrutture sportive, decidendo che il prezzo, seppure caro, era giustificato. Visitando il paese, un piccolo agglomerato di casupole con qualche nuovo edificio e qualche negozio, praticamente a uso e consumo dei clienti dell’albergo. Passando davanti a una vetrina di articoli sportivi, al Gino venne un dubbio atroce, si scusò, e tornò correndo nella sua camera. Cornelia lo rincorse pensando a un improvviso attacco di diarrea ma, quando lo raggiunse, vide che stava semplicemente provando la sua tenuta tennistica davanti allo specchio. Inutile dire che la maglietta sembrava un reggiseno, mentre dei calzoncini non s’allacciava più nemmeno l’ultimo bottone in basso. Contento di averci pensato in tempo, il Ciarconazzi tornò al negozio sport e si comprò tutto il necessario, notando con rammarico che la sua misura era aumentata di ben due numeri rispetto a quella di prima. Per sicurezza, comprò anche calze e scarpette ma l’impiegato, un po’ tonto, gli fornì anche quelle di due numeri più grandi. Più tardi le regalò al guardiano dei campi che calzava il 45. Dopo la cena all’aperto, scese al «night», bevve un paio di «scotch» e si avventurò sulla pista da ballo, impegnandosi a fondo in uno «shake» con Cornelia. Dopodiché, scambiò la moglie con il Milanese e cominciò un lento. Gli parve che la signora gli si stringesse al collo con un po’ più ardore del necessario e, essendo un gran pezzo di donna, gli si risvegliarono gli istinti mascolini. Ballò con lei tutti i lenti che potè, cercando di non dare troppo nell’occhio. Fu facilitato in questo dal fatto che al Milanese non piaceva la danza e che Cornelia era salita in camera con il mal di testa. Offrì di nuovo da bere alla signora, le fece qualche complimento e, visto che ci stava, la invitò per una passeggiata al chiaro di luna. La luna non c’era, ma lei accettò lo stesso. Giunti in un angolo buio, la prese per le spalle e la baciò ma, strano, non succedeva niente, la sua virilità pareva addormentata. Si ricordò allora dei soliti calmanti presi prima di cena, con l’aggiunta degli alcoolici al «night» e capì. Arrossì, pensando alla figuraccia che stava per fare e tentò di reagire. Ma quando cominciò a farsi più sotto, lei disse: «Non dobbiamo, siamo sposati…». Lo disse senza convinzione, ma il Gino prese la palla al balzo e, con grande sorpresa della donna, fece: «Hai ragione, rientriamo!». Si era salvato in corner, aveva dato l’impressione di essere un duro che non accetta scuse fasulle, e si riservava comunque di rimediare nei prossimi giorni. Tanto per cominciare, medico o no, non avrebbe più preso i calmanti. Purtroppo, nei tredici giorni restanti, non potè rimediare a nulla, perché la moglie non ebbe più il mal di testa e l’unica volta che il Milanese si ubriacò, lo fece insieme a lui.
Il giorno dopo, il campo da tennis era riservato da mezzogiorno alle due. Due ore sotto il sole più cocente, su campi con fondo sintetico, non lo attraevano poi così tanto, ma quello era l’unico orario rimasto libero. Rifiutandosi categoricamente di rinunciare al pranzo, si fece servire una bistecca alle undici e mezza e, mezz’ora dopo, era in campo. Lui era una discreta «scarpa», ma l’avversario faceva inorridire. Smisero dopo un’ora e mezza stracotti dal sole, avendo oltretutto giocato in costume da bagno. Il Gino aveva fatto in tempo a vincere cinque set, concedendo sette giochi al Milanese. Costui non era abituato al sole e aveva preso un colore che andava più verso quello della barbabietola che non del pomodoro. Gli fece i complimenti per il gioco brillante e gli consigliò di partecipare al torneo che l’animatore organizzava ogni settimana. Lui si iscrisse subito e aspettò il sorteggio che avrebbe avuto luogo il giorno dopo. Passò il resto del pomeriggio presso i campi da tennis dove studiò il gioco dei eventuali avversari. Visto che il «maestro» era probabilmente più debole di lui, si tranquillizzò e pensò seriamente di poter vincere il torneo. Guardando il tabellone della prenotazione dei campi venne a conoscere tutti i nomi dei giocatori e ne valutò le forze. Non riuscì a vedere solo un certo Müller, di evidente origine elvetica, perché, per ragioni sue, aveva «bidonato» il campo prenotato per quel giorno. Tornò così in albergo, si cambiò per la cena e scese al «night». Si sentiva molto meglio della sera prima, ma il Milanese era in camera sul letto a pancia in giù e la moglie gli spalmava dolcemente sulla schiena una pomata contro le ustioni solari. Stringeva fra i denti il cuscino per non urlare per il dolore che ogni spalmata gli procurava. Inoltre, Cornelia aveva voglia di ballare e gli si appiccicò addosso per tutta la sera. Così, si coricò presto e il giorno dopo andò ad assistere al sorteggio. Naturalmente, lui uscì contro quel Müller che non gli era riuscito di vedere. Pensieroso, si sdraiò al sole leggendo un giallo. Ma non potè concentrarsi sulla lettura, il Confederato lo ossessionava.
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