Una grande “Giselle” con Semionova e Vogel a Zurigo

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Spazio musicale

La nuova direzione della compagnia di balletto zurighese, in carica da tre anni, ha presentato numerosi lavori moderni, con notevole successo di pubblico, mettendo tuttavia in disparte i grandi balletti tradizionali. Nella stagione corrente ha cominciato a rimediare con l’inserimento in cartellone di un grande titolo del passato. Lo ha fatto affidandone le parti principali sia a membri della compagnia locale sia a ospiti di prestigio. Così dalla fine di marzo si rappresenta “Giselle”, che molti considerano un capolavoro senza uguali nella storia del balletto (ma forse converrebbe mettergli alla pari, per esempio, “Il lago dei cigni” o “Romeo e Giulietta”) con, tra gli altri, Polina Semionova, Friedemann Vogel e Roberto Bolle.

Quali sono le qualità grazie alle quali “Giselle” gode di così ampi e durevoli favori? Si può menzionare innanzitutto la varietà, con il primo atto collocato in un ambiente rurale e il secondo trasferito al di fuori della realtà e avente le caratteristiche di un balletto bianco. Elemento unificatore è l’amore della protagonista, incrollabile tanto nella vita terrena quanto in un fantastico e inquietante al di là. Questa costanza assoluta, questa disponibilità a ogni sacrificio per salvare l’uomo amato, anche se infedele, è commovente, e in ciò sta il secondo motivo che spiega la popolarità del balletto. Un grande fascino presenta poi la coreografia tradizionale, non sappiamo in quale misura conforme all’originale di Coralli e Perrot per la prima assoluta del 1841, in ogni caso di straordinaria bellezza ed efficacia, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi, in primo luogo Giselle, che è una ragazza graziosa, vivacissima, con una gran voglia di danzare nonostante la fragilità della salute, tuttavia ferma nei sentimenti e alla fine eroica. Da ultimo cito un aspetto particolare, messo raramente in evidenza, eppure di importanza fondamentale, ossia la perfetta funzionalità della partitura musicale di Adam alle esigenze della danza. Ne è derivata una fusione tra le due arti quale poche volte si riscontra con la medesima intensità. Per la sortita di Albrecht il compositore riesce, mediante una successione di brevissimi passaggi, solo venticinque battute complessive, a esprimere tutto quanto era necessario esprimere in quel momento – l’esuberanza giovanile del personaggio, il suo amore per Giselle e la partenza dello scudiero – con un discorso musicale fluido, sciolto, naturale, senza cesure, tale appunto da convenire nel migliore dei modi a una scena danzata (o se vogliamo mimata, ma sappiamo che nel balletto romantico i confini tra scene mimate e scene danzate si sono attenuati). Per prendere un esempio anche dal secondo atto menziono l’arrivo della protagonista, dove la musica si scatena in un turbine impressionante di note per manifestare l’esplodere in Giselle della voglia di danzare nuovamente, dopo l’immobilità forzata nella tomba.

Sembra quasi un colpo di fortuna che le osservazioni sulla danzabilità della musica valgano anche per un pezzo non composto da Adam. Mi riferisco al brano scritto per la variazione di Giselle nel primo atto, dovuto a Minkus. Si possono distinguere una introduzione e tre parti. L’introduzione presenta una grande discesa dei violini, un andamento magniloquente e un respiro ampio. Contraddice, si potrebbe obiettare, la natura di Giselle, che è tutta grazia, gentilezza e modestia. Vero, però un balletto ha determinate esigenze formali e bisogna soddisfarle anche a costo di qualche incoerenza di caratterizzazione o drammaturgia. Nel nostro caso sta per iniziare uno dei momenti più desiderati e apprezzati dal pubblico, ossia una variazione della ballerina protagonista. Bisognava annunciarlo in debita forma, quasi per avvertire lo spettatore di prestare una attenzione speciale: e va riconosciuto che l’avvio della partitura di Minkus svolge egregiamente tale funzione. In fondo la tensione che invade lo spettatore esiste anche in scena nei viticoltori, i quali conoscono la passione della ragazza per la danza e sono impazienti di vederne l’esibizione. Così il numero acquista un senso anche nel profilo del personaggio e della vicenda. All’introduzione segue un “allegro moderato” pervaso di affabilità e leggerezza e poi – siamo alla seconda parte – un passaggio finemente ed elegantemente ritmato, una specie di sorriso musicale, come il sorriso che appare sul viso della ballerina nel momento in cui esegue disinvoltamente, come se sprezzasse l’impegno tecnico ed il rischio, uno degli incatenamenti più difficili della coreografia, ossia la diagonale sulla punta. L’ultima parte, in “allegro vivo”, accompagna il “manège” conclusivo. La composizione di Minkus fornisce la prova che un pezzo dovuto a mani estranee può inserirsi benissimo in una partitura altrui, non solo senza provocare fratture né danneggiandola, ma completandola e arricchendola. Mi piace sottolineare questo fatto in un’epoca di accanimento filologico come la nostra. Nel che dissento da Patrice Bart, il curatore di questa edizione del balletto, il quale considera la variazione di Giselle una aggiunta inopportuna ma ormai ineludibile, essendo entrata profondamente nell’uso e voluta sia dal pubblico sia dalle ballerine (e infatti l’ha conservata).

In generale il Bart ha mirato a riconferire alla coreografia quello stile francese che essa aveva perso durante l’”esilio” russo (per oltre quarant’anni “Giselle” cadde in oblio a Parigi ma sopravvisse in Russia e da lì tornò in Francia grazie a Diaghilev). È riuscito a darne una versione ammirevole per coerenza e compattezza. Splendidi sono stati sia i numeri solistici sia quelli di gruppo. Una straordinaria efficacia teatrale hanno avuto i movimenti e le pose delle villi nel momento in cui Giselle sorge dalla tomba 

Alla rappresentazione alla quale ho assistito (quella del 19 aprile) Giselle è stata Polina Semionova, una autentica “signora” della scena, che sa fare tutto con semplicità e naturalezza. Possiede una grande tecnica (nella diagonale succitata ho ammirato in modo speciale la scioltezza della gamba lavorante) e una altrettanto grande capacità interpretativa. Questa è emersa particolarmente nel secondo atto, in cui la sua danza leggerissima, ariosa e incorporea ha incantato. Di fianco a lei Friedemann Vogel è stato un Albrecht appassionato e autore, nel finale, di alcuni salti impressionanti (non si dica che si è trattato di puro virtuosismo; i salti, come li ha eseguiti lui, e integrati dall’espressione del viso, hanno dato la misura della disperazione del personaggio in lotta per la sopravvivenza). Tutti i solisti e l’impeccabile corpo di ballo meritano un ampio elogio.

Luisa Spinatelli ha predisposto scene molto sobrie e a tinte tenui per entrambi gli atti: probabilmente ha voluto introdurre un elemento di unità formale nello spettacolo, ma a chi scrive sarebbe piaciuto invece un contrasto netto tra l’ambiente terreno e quello ultraterreno. Assai belli i costumi, sempre della Spinatelli. Spiace dover dire in fretta della Philharmonia Zürich e del direttore Ermanno Florio: hanno fornito un’ottima esecuzione musicale e sarebbe giusto dedicar loro un articolo a parte. Teatro completo, applausi e ovazioni interminabili.

 

Lugano Festival

Il concerto di Lugano Festival svoltosi il 24 aprile al Palazzo dei congressi ha preso avvio con “La Moldava” di Smetana, secondo poema sinfonico di un ciclo che ne comprende sei, dedicato alla patria del compositore, ossia alla Boemia. Questo lavoro si presta ad alcune considerazioni speciali. In fondo un poema sinfonico presenta problemi analoghi a quelli del melodramma e del balletto. La musica di un’opera deve limitarsi a descrivere un ambiente o a esprimere un sentimento in modo generale oppure deve seguire a passo a passo quanto dice il libretto, riducendosi a un recitativo monotono e spesso noioso? Anche un balletto, se gli si chiede di tradurre minutamente in termini coreografici ogni aspetto dell’azione, diventa uno spettacolo mimato e perde il carattere di danza. Per venire al poema sinfonico, se il compositore si picca di esporre in musica descrizioni particolareggiate, il risultato sarà una partitura frammentaria e poco musicale. Smetana, nel caso del ciclo in questione e specialmente nella “Moldava”, risolse  abilmente il problema confezionando il programma in funzione della musica, e non viceversa. Pertanto scelse episodi di un genere adatto ad essere presentato mediante le note, ad esempio la caccia (solitamente associata all’intervento di suonatori), la festa nuziale (dove la musica non manca mai) o la danza delle ninfe. Senza contare il fatto che lo scorrere dell’acqua di un fiume può essere efficacemente descritto da una melodia. L’esecuzione della “Moldava” a Lugano il 24 aprile, con l’Orchestra della Svizzera italiana diretta da Vladimir Ashkenazy, è stata scialba; non vi ho percepito il senso della natura, il trasporto dell’amor patrio né la magia della danza delle ninfe.

Ha fatto seguito la “Rapsodia su un tema di Paganini per pianoforte e orchestra” op. 43 di Rachmaninov: una composizione interessante, con qualche momento assai bello, che però nel complesso lascia una impressione di disordine e incostanza. Bizzarra è poi la struttura che fa precedere la prima variazione al tema. Il pianista Jean-Efflam Bavouzet ha esibito una potenza considerevole e una spiccata capacità di scolpire le figurazioni spesso secche, angolose e meccaniche della rapsodia; ma per rendere godibile un lavoro riuscito solo a metà sarebbe occorso di più.

La seconda parte è stata occupata da una esecuzione complessivamente buona della nona sinfonia di Dvorak.

Carlo Rezzonico

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