UE-NO Ticino: Manuele Bertoli dimentica di essere presidente del CdS
Premesso che condanniamo la deriva delle critiche sfociate in una marea d’insulti su Facebook, non possiamo però sottacere il nostro disappunto per le parole di Manuele Bertoli in occasione del discorso pronunciato il 1° agosto a Locarno. Manuele Bertoli ha smesso gli abiti del presidente del governo, per vestire quelli del socialista estremo cui la democrazia va evidentemente troppo stretta quando riesce a tutelare i valori che hanno fatto grande il nostro paese e che, da anni ormai, il suo partito tenta di smantellare, in particolare la democrazia diretta.
Come sempre, tira in ballo la multiculturalità che sarebbe alla base dello Stato federale elvetico, rammaricandosi del fatto che questo principio non sia oggi parimenti applicato agli stranieri in Svizzera. Questo argomento è contestabile facilmente. I cantoni svizzeri – di propria volontà o per imposizione come fu con l’atto di mediazione di Napoleone 1° – aderirono alla Confederazione portando in dote il proprio territorio, nel quale rimase comunque la gran parte della propria popolazione che, giustamente, ottenne a livello federale il riconoscimento della propria cultura e lingua. Ci fu, evidentemente, la libera circolazione fra i cantoni ma, essendo il fenomeno contenuto, non pose eccessivi problemi. La multiculturalità di oggi, invece, è frutto di una vera e propria invasione da parte di masse eccessive di persone del tutto avulse dalla nostra realtà, cultura, lingua e religione, alle quali è giusto portare rispetto, ma verso cui è sbagliato eccedere in concessioni che vanno al di là della semplice ospitalità. L’attribuzione oltranzistica dei diritti degli autoctoni a stranieri attirati sempre in maggior numero nel nostro paese, non favorisce la multiculturalità, bensì la nostra fagocitazione da parte di culture a noi aliene.
Bertoli mette poi in questione la democrazia diretta, criticando “il pesante influsso della disponibilità di denaro per le campagne di votazione”, ma sorvolando ovviamente sul fatto che questo influsso è sovente esercitato dal governo, che non esita – oltre a scendere direttamente in campagna di voto, andando ben oltre un corretto dovere di informazione – a investire non poco denaro anche di quei contribuenti che non sono d’accordo, i quali si trovano così a pagare due volte: l’una, volontariamente, per pagare l’influsso a favore del voto che si auspica, e l’altra, del tutto involontaria ma imposta fiscalmente, per sostenere progetti ai quali sono contrari.
Ci salvi il cielo poi, quando le votazioni non vanno nel senso voluto dal credo socialista! Dopo essersela presa con la decisione di popolo e cantoni di vietare la costruzione di minareti, auspica che il Consiglio federale “proponga al popolo un voto adeguato a confermare o rivedere la scelta” del 9 febbraio 2014, laddove, ovviamente, la scelta di confermare il voto di sei mesi fa è da evitare come la peste. Tant’è vero che più avanti dice: “Affinché la nuova scelta popolare non riproduca il risultato del 9 febbraio è tuttavia necessario che essa sia accompagnata da vigorose riforme interne inerenti al mercato del lavoro e al mercato dell’alloggio, atte a ridurre gli effetti non voluti della libera circolazione delle persone”. Va da sé che queste “vigorose riforme” sono di stampo socialista come “salari minimi legali, convenzioni collettive di lavoro facilitate, controllo delle pigioni, ecc.”, in parte altrettanto già respinte in votazione popolare, il che costituisce un’ulteriore critica al nostro regime di democrazia diretta.
Infine, termina il discorso dicendo che il Ticino deve “necessariamente anche saper superare l’atteggiamento indecorosamente ostile verso tutto quel che proviene dall’Italia, che in questi ultimi anni invece di attenuarsi sembra essersi addirittura accentuato”. Si ricordi, il presidente del CdS, che i Ticinesi non hanno aprioristicamente un “atteggiamento ostile verso tutto ciò che proviene dall’Italia”, paese con cui abbiamo sempre collaborato e cui abbiamo sempre dato lavoro. I cittadini ticinesi si sono semplicemente irrigiditi da quando – grazie a dei bilaterali negoziati a vantaggio unilaterale della controparte – all’Italia si è sostituita l’UE, in particolare con l’accordo di libera circolazione delle persone che ha quasi raddoppiato il numero di frontalieri che sono andati vieppiù occupando posti di lavoro per i quali abbiamo noi manodopera qualificata. Tant’è vero che la votazione contro l’immigrazione di massa del 9 febbraio, in Ticino ha registrato il record di NO con il 68,2%; e che l’iniziativa cantonale lanciata dall’UDC “Prima i nostri” è riuscita con 10’991 firme valide.
Tutti segnali peraltro non difficili da interpretare da parte di chi si vorrebbe presentare quale rappresentante del governo ticinese.
Bertoli preferisce dare priorità alle sue convinzioni socialiste? Del tutto legittimo, ma allora la presidenza del Consiglio di Stato non è il suo posto.
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