“Tancredi” di Rossini opera raramente eseguita
Spazio musicale
L’anno scorso al bicentenario della nascita di Verdi e Wagner si è aggiunto quello del “Tancredi” di Rossini, rappresentato la prima volta alla Fenice di Venezia il 6 febbraio 1813. Bene ha fatto il Teatro Sociale di Como a ricordarsene. Meno bene ad allestirlo trasponendone l’epoca dall’undicesimo al ventesimo secolo. Ma a parte le solite contraddizioni e rotture nascenti quando si compiono operazioni del genere, che appartengono ai luoghi comuni più triti del nostro tempo, la regia di Francesco Frongia ha aderito bene agli avvenimenti. È sul piano musicale, tuttavia, che lo spettacolo ha dato le migliori soddisfazioni. Certamente può essere rimasto perplesso chi si aspettava un Rossini tradizionale, geometrico, colorito e a ritmi fortemente scanditi. Invece ci si è trovati di fronte a una lettura discreta, morbida, levigata, con melodie intensamente espressive e sonorità orchestrali che, nonostante il volume molto controllato, avevano corpo e spessore. Il tutto presentato con grande accuratezza e scrupolosa precisione. A chi scrive questa interpretazione è piaciuta ed ha costituito una fonte di godimento continuo. Sia pertanto ringraziato il direttore Francesco Cilluffo. Pure in palcoscenico le cose sono andate bene. Teresa Iervolino possiede una buona voce, anche se di scarso volume in zona bassa, e ha dato vita correttamente al protagonista. Una rivelazione è stata la soprano Sofia Mchedlishvili. Messa a cimento con una parte impegnativa come quella di Amenaide (sarebbe stato più giusto chiamare l’opera “Amenaide” e non “Tancredi”) ha mostrato qualità notevoli. Le emissioni sono limpide, forti e penetranti. La grande estensione le permette di produrre acuti intonati e sicuri. Non ha mancato di esibire questa sua capacità inserendone alcuni che Rossini non scrisse; ma sono stati bellissimi e il direttore ha fatto bene a lasciarglieli “scalare”. Poiché la cantante ha messo in luce anche sensibilità interpretativa e temperamento mi aspetto parecchio da lei; potrebbe diventare una protagonista ideale della “Sonnambula”. Il tenore Mert Süngü, una volta rinfrancatosi e scaldata la voce, ha conferito incisività e squillo ad Argirio, superando agevolmente le difficoltà di una parte assai acuta e impervia. Mezzi robusti e ottimo timbro ha sfoggiato Alessandro Spina, che è stato un Orbazzano autorevole e convincente. Da lodare infine Raffaella Lupinacci e Alessia Nadin come Isaura rispettivamente Ruggiero. L’Orchestra I pomeriggi musicali di Milano, alla quale il direttore, come ho già detto, ha chiesto molto in termini di precisione, finezza ed espressione, si è distinta con una prestazione ammirevole. Bravura non minore ha mostrato il Coro AsLiCo, istruito da Diego Maccagnola.
Va menzionato ancora che il direttore ha adottato, non il finale lieto della prima assoluta a Venezia, ma quello tragico, con la morte di Tancredi, composto per la ripresa a Ferrara. È stata una scelta intelligente. La conclusione di gioia generale, probabilmente appiccicata all’opera per compiacere ai desideri del pubblico, ne contraddice il senso. Degno di rilievo è il fatto che nella versione ferrarese Rossini termina la vicenda in grande semplicità, con pochi tocchi dell’orchestra che si alternano alle ultime frasi spezzate di Tancredi morente. Nell’allestimento visto a Como la regia ha opportunamente prodotto un lento e graduale spegnersi delle luci, parallelamente allo spegnersi della voce dell’eroe, della sua vita e della musica.
Alla “prima”, il 6 dicembre, pubblico abbastanza numeroso e buon successo, soprattutto per la soprano.
“Lo Schiaccianoci” nel Ticino
Rappresentare una favola e voler creare il mondo fantastico in cui essa vive ambientandola negli anni venti del ventesimo secolo e quindi inserendovi riferimenti chiaramente realistici era impresa impossibile. È stato questo il punto più debole dello “Schiaccianoci” allestito dal Balletto di Milano e portato in tournée nel Ticino con spettacoli a Chiasso, Lugano e Bellinzona. Per il resto lo spettacolo, con coreografia di Federico Veratti e scene di Marco Pesta, è complessivamente piaciuto. Ha presentato una particolarità nell’importanza attribuita a Drosselmayer, trasformato da personaggio misterioso e temuto dai bambini in una specie di benefico motore della storia, sempre presente, pronubo agli amori di Clara e del Principe e perfino organizzatore del “divertissement” finale. Buone le danze di gruppo (i fiocchi di neve, il valzer dei fiori, il numero conclusivo). Quanto agli episodi dedicati ai protagonisti ed ai solisti si può dire che una prestazione lodevole ha dato la ballerina che ha interpretato Clara (della quale non posso citare il nome perchè il programma, seguendo un malvezzo diffuso, non lo ha indicato, o meglio ha indicato due nomi, senza però specificare quale era quello giusto per ogni singola serata) come pure il ballerino che si è esibito nei panni del Principe (stesso problema). Come Drosselmayer si è disimpegnato bene Alessandro Orlando; in questa edizione del balletto la sua parte comporta meno mimica e più danza del solito, compresi alcuni momenti virtuosistici (molti “tours en l’air”, eseguiti correttamente). Va elogiata la buona qualità tecnica della registrazione musicale.
Ho visto la rappresentazione del 13 dicembre a Chiasso: pubblico foltissimo e molti applausi.
Concerti d’autunno
L’ultimo concerto d’autunno, svoltosi il 19 dicembre al Palazzo dei congressi di Lugano, è stato aperto da un lavoro chiamato “Musica luminosa per orchestra” di Rudolf Kelterborn. Il compositore usa timbri ed armonie con la palese intenzione di suscitare l’idea della luce. L’opera tradisce lo sforzo costruttivo e dà l’impressione di cosa gelida. Considerata l’insistenza sulle medesime risorse musicali una maggior concisione avrebbe giovato. Ammirevole per diligenza e puntualità è stata l’esecuzione dell’Orchestra della Svizzera italiana, diretta da Eivind Gullberg Jensen. Applausi di cortesia.
In un campo completamente diverso si è entrati con il Concerto per pianoforte e orchestra KV 491 di Mozart. Nel primo tempo tanto il pianista Louis Lortie quanto il direttore hanno rinunciato a mettere in evidenza gli aspetti drammatici della composizione (che ci sono, e importanti) per dare la preferenza a una lettura raccolta, riflessiva, tendente a smussare gli angoli. Stranamente, nella cadenza il solista non ha lesinato impeto e ardore. Quanto al “larghetto”, invece della olimpica e composta semplicità suggerita dalla partitura, è apparso un tenue velo di tristezza. E anche l’”allegretto” non è sfuggito all’impostazione interpretativa generale, per cui non sono mancate sfumature e chiaroscuri. È giusto suonare Mozart così? Si può discutere, ma aggiungo subito che, accettata la linea scelta dal Lortie e dal Gullberg Jensen, non si può non elogiare il modo in cui l’hanno attuata. Certamente il pianista ha mostrato ottima tecnica e fine sensibilità.
Una bella esecuzione della terza sinfonia di Brahms, che ha preso quota soprattutto a partire dal secondo tempo, ha concluso la serata.
Carlo Rezzonico
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