Rattle e i Berliner Philharmoniker al Lucerne Festival
Spazio musicale
Il diciassettesimo concerto sinfonico del Lucerne Festival, svoltosi il 31 agosto, ha fatto ascoltare “Incantesimi” per orchestra di Julian Anderson, le Danze slave op. 46 di Dvorak e la seconda sinfonia di Brahms.
Il lavoro dell’inglese Anderson si apre con note lunghe alle quali, in seguito, altre si sovrappongono, creando armonie lugubri. In questo discorso appaiono, come voci lontane, delicati interventi del corno inglese. Il tutto è inframmezzato da accordi violenti, sferzanti, metallici, simili a sinistri bagliori. Parrebbe che su un tranquillo e ignaro mondo idilliaco incombano minacce da giudizio universale. Il gioco continua un po’ troppo a lungo (anche se la composizione dura complessivamente solo una decina di minuti). Splendide sono state le prestazioni del Rattle e dell’orchestra ma alla fine il pubblico non ha tributato che applausi di cortesia.
A risollevare gli animi hanno poi provveduto l’effervescenza, i ritmi infocati, le attraenti volute melodiche ma anche, in molti passaggi, le finezze, gli accattivanti mormorii, i fremiti segreti delle Danze slave di Dvorak. Tutto questo il direttore e il complesso ospite hanno saputo porgere agli ascoltatori con straordinaria bravura.
E veniamo alla seconda sinfonia di Brahms. Taluni la giudicano una composizione serena, distesa e tranquilla al punto da definirla “pastorale”. Affermano che sta alla consorella precedente come la sesta di Beethoven sta alla quinta. Effettivamente alcuni elementi danno credito a tale visione. Ad esempio il secondo tema dell’“allegro non troppo” svolge un discorso piano, sciolto e affabile, facendo pensare inequivocabilmente alla pace campestre. Tuttavia si impongono a mio parere due osservazioni. La prima è che la sinfonia presenta in misura non trascurabile anche aspetti di tristezza, disagio e perfino di dramma. Alludo non soltanto all’”adagio non troppo”, che è tutto pervaso di malinconia, ma anche ad alcuni episodi del primo tempo. Prendiamo il tema fondamentale: il tranquillo procedere dei corni e dei fagotti alternati alle dolci risposte dei legni crea un’atmosfera deliziosamente rurale ma subito dopo un ondeggiare degli archi, un trillo dei timpani e poi accordi dei tromboni e della tuba bassa turbano il sentimento iniziale con un che di fosco e misterioso. La seconda osservazione riguarda gli stessi episodi considerati “pastorali”. La natura mette l’uomo in armonia con il mondo e con sè medesimo grazie alla sua semplicità. Ora il pensiero musicale di Brahms tende sempre a ramificarsi e ad acquisire forme complesse, allontanandosi in un certo senso dall’assunto. Questa costatazione peraltro non è da considerare riduttiva nel profilo artistico in quanto, se è vero che viene a mancare un idillio incontaminato, è altrettanto vero che la partitura si arricchisce e assume spessore di forma e di contenuto; molte sono le vie che possono portare a capolavori.
A Lucerna il Rattle si è spinto alquanto in là nel sottrarre serenità e piacevolezza alla sinfonia e. lo ha fatto in modo assai personale: non mettendo in risalto gli aspetti ombrosi e inquieti che contrastano con il carattere generale dell’opera bensì ripiegandosi sull’intimità e la riflessione nonché avvolgendo quasi l’intera composizione in un alone di diffusa tristezza. L’intenzione di ricondurre la sinfonia a questa idea interpretativa è apparsa subito all’inizio dell’”allegro non troppo”, dove perfino l’intervento di tromboni e tuba bassa dopo l’esposizione del primo tema non ha portato nulla di cupo. Anche il terzo tempo e buona parte del quarto sono stati assorbiti nella concezione suddetta; si sono dovute attendere le ultime battute per sentire l’orchestra lanciata a sfoderare poderose energie. Così l’interpretazione del Rattle ha fatto conoscere il lavoro di Brahms in una luce particolare e inconsueta ma, accettata la sua scelta interpretativa, degna di ammirazione per la coerenza, l’acume e la fine sensibilità. I Berliner Philharmoniker si sono distinti, in ogni momento e in ogni particolare, grazie a una accuratezza estrema, una grande omogeneità di suono e una fusione perfetta. Applausi, questa volta, convintissimi.
Gli Amici del Lucerne Festival
Il Lucerne Festival presenta l’insolita caratteristica che non dipende, se non per importi molto piccoli, da finanziamenti statali. La vendita dei biglietti copre il 44% delle spese (una percentuale che molti sovrintendenti di teatri e organizzazioni concertistiche sognano) e i contributi dei sostenitori, tra i quali figurano parecchi grossi nomi dell’economia svizzera, il 39%. Ma un’altra fonte importante di mezzi è la Fondazione degli Amici del Lucerne Festival, che festeggia quest’anno il mezzo secolo di esistenza. La ricorrenza è stata celebrata con una manifestazione svoltasi al Centro di cultura e congressi e ha compreso, tra l’altro, un concerto speciale. In apertura sei membri dell’orchestra del Festival (Raphael Christ e Tilman Büning, violini, Wolfram Christ e Tanja Christ, viole, Clemens Hagen e Jens Peter Maintz, violoncelli) hanno eseguito il Sestetto per archi op. 70 “Souvenir de Florence” di Cajkovskij. L’interpretazione, come era lecito aspettarsi da artisti di tale livello, è stata di alta classe. Ha poi fatto seguito l’Orchestra del Lucerne Festival in formazione sinfonica, sotto la direzione di Riccardo Chailly, che ha fatto ascoltare la Suite numero 2 per orchestra jazz di Sostakovic. Grande è stata la sorpresa per la maggior parte dei presenti nel trovarsi di fronte a un genere di musica assai insolito per il compositore russo: ritmi brillanti, melodie orecchiabili e suadenti, carattere costantemente festoso, in una atmosfera, quasi, da concerto di Capodanno. Ma un momento. Il genio di Sostakovic, pur tra aspetti a volte banalucci, rispunta nella solidità della struttura musicale, nella ricchezza delle idee, seppure idee senza grandi pretese artistiche, e nella varietà dei colori, il tutto messo in valore con l’abituale bravura dallo Chailly e dal complesso. Così il concerto, tra un brindisi e l’altro, ha felicemente sottolineato il compleanno degli Amici del Festival.
A questo punto, sottolineando la larghezza di vedute e la disponibilità a concedere aiuti finanziari da parte di questi Amici, molti dei quali occupano posti di peso nell’economia, non posso fare a meno di auspicare altrettanta generosità negli ambienti imprenditoriali ticinesi a favore dell’Orchestra della Svizzera italiana. L’esempio lucernese sarebbe da imitare.
Carlo Rezzonico
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