Nuovi balletti all’Opernhaus di Zurigo
Spazio musicale
Nella stagione 2013/2014 l’Opernhaus di Zurigo ha iniziato una collaborazione con “Steps”, la rassegna di danza contemporanea che ogni due anni presenta compagnie internazionali in diverse località della Svizzera. Il primo frutto è stato uno spettacolo chiamato “Notations” per il quale tre tra i più eminenti coreografi contemporanei hanno creato ciascuno un nuovo balletto. Ho visto la rappresentazione del 9 giugno pomeriggio, che è stata seguita dalla consegna del premio istituito dalla società “Freunde des Balletts Zürich” a quattro membri della compagnia, due appartenenti alla compagnia principale e due alla compagnia junior.
Ha aperto lo spettacolo “Kairos” di Wayne McGregor, coreografo residente del Covent Garden di Londra, richiesto come ospite dai maggiori teatri del mondo e inoltre fondatore di una compagnia propria, la “Random Dance” (che alcuni anni fa diede uno spettacolo al Cinema Teatro di Chiasso). Oggi non si fa niente in campo artistico senza filosofia e senza visioni. Così il programma di sala spiega che “Kairos” è un concetto religioso-filosofico indicante il momento più favorevole per una decisione, momento da non lasciar scappare poiché le conseguenze potrebbero essere svantaggiose. Lascio a chi è più volonteroso di me il compito di scovare il rapporto con il balletto in discorso. Mi preme invece dire che questo presenta una danza inquieta, con molti ondeggiamenti del corpo e molti movimenti del collo, in un clima di forte eccitazione. Ballerine e ballerini, considerati nel loro insieme, formano una massa in continua e rapida evoluzione. I momenti migliori sono tuttavia quelli in cui il ritmo si placa e consente una certa espansione lirica: qui, nella plasticità della danza, nel modo di plasmare i corpi e nell’intensità dell’espressione, si manifestano chiaramente le capacità del coreografo. Molto speciale è la partitura musicale di Max Richter, che attinge alle Quattro stagioni di Vivaldi, non per farne una rielaborazione o, per usare un termine di moda, una “rivisitazione”, ma per dar vita a una composizione nuova. Ad esempio il Richter dà molta evidenza ai bassi, il che contrasta fortemente con la luminosità della partitura vivaldiana. Sia menzionata l’ottima prova di Xiaoming Wang come violino solista.
“Sonett” è il titolo dato da Christian Spuck al suo lavoro, ispirato da quattro sonetti di Shakespeare. In scena c’è costantemente un singolare personaggio recitante che funge da organizzatore e coordinatore degli avvenimenti spostandosi continuamente da un angolo all’altro del palcoscenico. Poiché siamo in presenza di uno spettacolo ibrido, la danza non è sempre attiva. Quando si mette in moto segue fedelmente con un linguaggio assai tradizionale le pulsazioni ossessivamente ripetitive della musica di Philip Glass. In conclusione il balletto presenta aspetti positivi, ma non può essere annoverato tra i migliori dello Spuck.
Impressioni assai forti ha suscitato il terzo e ultimo numero, un lavoro designato “Deer Vision” dovuto a Marco Goecke, coreografo residente a Stoccarda. Questo artista ha imboccato una strada estremamente personale utilizzando la parte superiore del corpo in modo intensissimo e quasi esclusivo. Busto, braccia, mani, spalle e testa vengono chiamati in causa continuamente con scatti frenetici e agitati, molto diversi dai movimenti messi in atto da McGregor in “Kairos”: quelli viscidi e sinuosi, questi geometrici, angolosi e stilizzati. C’è la manifestazione di una energia irresistibile in un dibattersi disperato. Viceversa le gambe sono sempre in secondo piano e servono quasi soltanto per effettuare gli spostamenti. Con ciò il coreografo si impone una considerevole limitazione delle risorse disponibili e non può evitare una certa ripetitività. Ma il suo lavoro riesce in ogni caso a tenere lo spettatore con il fiato sospeso e lascia una traccia importante sulla sua sensibilità.
La compagnia zurighese ha dato una prova maiuscola, come se volesse congedarsi nel migliore dei modi dal pubblico prima della pausa estiva (lo spettacolo al quale ho assistito era l’ultimo della stagione per quanto riguarda la danza). Dice McGregor, citato sul programma di sala: “Ho capito subito che i danzatori a Zurigo sono flessibili e si destreggiano bene negli idiomi di movimento più diversi. Non solo si fanno notare come artisti di movimento, ma sono anche straordinariamente efficienti, desiderosi di fare esperienze nuove e pieni di entusiasmo.” Confermo.
Non dimentichiamo le ottime prestazioni musicali della Philharmonia Zürich (così si chiama ora l’orchestra dell’Opernhaus), diretta da Michael Zlabinger. Sono state degne di un concerto sinfonico, specialmente in “Verklärte Nacht” (versione per orchestra d’archi) di Schoenmberg, che ha servito da base musicale per “Deer Vision”.
Montebello Festival a Bellinzona
Da dieci anni i concerti da camera estivi al Castello di Montebello di Bellinzona – chiamati, forse un po’ troppo pomposamente, “Festival internazionale di musica da camera ai castelli di Bellinzona” – occupano un posto non trascurabile nell’ambito delle attività musicali ticinesi. La collocazione dei musicisti e dello spazio per il pubblico in una specie di profondo cortile presenta il vantaggio di ridurre sensibilmente la dispersione acustica che spesso nuoce alle esecuzioni musicali all’aperto. Inoltre la bellezza del castello e il senso della storia che ne emana rendono il luogo assai suggestivo e favoriscono, grazie al netto distacco dagli ambienti quotidiani, la concentrazione sui valori artistici.
Nell’edizione 2014 tra i tanti meriti della manifestazione c’è stato quello di celebrare i centocinquantanni della nascita di Richard Strauss e di far conoscere al pubblico alcune sue composizioni poco note. Mi sono recato al concerto del 10 luglio. Dell’insigne musicista tedesco il pianista Roberto Prosseda ha suonato tre pezzi giovanili rivelanti uno Strauss assai diverso da quello che hanno in mente i frequentatori dei concerti sinfonici o dei teatri d’opera. Qui ci viene incontro un compositore che si inserisce spontaneamente e naturalmente nel solco della grande tradizione romantica tedesca, volta a penetrare sottilmente nelle pieghe più riposte dell’animo umano. Il primo dei tre brani ascoltati a Bellinzona sviluppa gesti musicali semplici ed ariosi, in un clima di pacatezza e serenità. Il secondo possiede un carattere diverso, ribatte accordi, è severo e austero, sembra talvolta porsi interrogativi angosciosi; include però anche una parte centrale appassionata. Invece l’ultimo pezzo trasferisce l’ascoltatore in un mondo gioioso, dove si impone una figurazione discendente estrosa e anche un poco birichina, tuttavia non senza far spazio, qua e là, a qualche breve e appena percettibile abbandono sentimentale. Nel complesso i tre lavori piacciono e portano, sia pure tenuamente, l’impronta di un grande compositore, qui attivo in un campo estraneo a quelli dei suoi maggiori raggiungimenti artistici. Il pianista ha suonato con impegno ed evidente amore per questa musica, consentendo di goderne ogni finezza. Con lo stesso impegno e con lo stesso amore ha poi presentato tre brani di Brahms, dove il pensiero del grande musicista sembra disperdersi in molti rami, mentre invece è denso e coerente, come un invito alla meditazione sull’esistenza e i suoi innumerevoli aspetti. Poi si è unito al Quartetto Terpsycordes per dar vita a una bella e accurata esecuzione del Quintetto con pianoforte op. 44 di Schumann.
Carlo Rezzonico
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