Novità importanti di Staud al Lucerne Festival
Spazio musicale
Il compositore austriaco Johannes Maria Staud ha effettuato una carriera fulminea. A quarant’anni può annoverare un numero invidiabile di successi. Un suo lavoro è stato eseguito in prima assoluta dai Berliner Philharmoniker sotto la direzione di Simon Rattle. Ha ricevuto commesse dai Wiener Philharmoniker e dalla Cleveland Orchestra. È stato onorato con molti premi, come nel 2002 quello di composizione del Festival di Pasqua a Salisburgo o nel 2009 il premio Hindemith del Festival dello Schleswig-Holstein. I suoi interessi esulano dal campo musicale e si estendono, tra l’altro, alla filosofia, alle arti figurative e alla letteratura. Grande è dunque la varietà delle fonti di ispirazione alle quali attinge. Ma anche nel puro campo musicale non esita a trarre idee da epoche e generi diversi. Suo scopo è tentare in ogni composizione qualcosa di non presente nelle altre opere. Vastissimo è già il catalogo dei suoi lavori, dove si riscontra una molteplicità di generi e strumenti o complessi utilizzati: pianoforte, strumenti soli, musica da camera, orchestra, strumenti solisti e orchestra, voci, opere. Spesso appaiono titoli strani, ad esempio questi: “….gleichsam als ob ….” per orchestra, “On comparative Meteorology” per orchestra, “Über trügerische Stadtpläne und die Versuchungen der Winternächte (Dichotomie II)” per quartetto d’archi e orchestra.
Interessanti sono le risposte date nel corso di una intervista. Quando gli è venne domandato se un artista abbia doveri verso qualcuno, oltrechè verso se stesso, oppure, detto con altre parole, se l’arte abbia un aspetto politico o sociale, rispose: “Sì. Creare opere d’arte è sempre un atto politico… Nelle sue affermazioni un artista ha sempre il dovere di alzare la sua voce contro l’ingiustizia.” È un punto di vista pericoloso poiché i problemi politici, sociali e di giustizia presentano tanti aspetti, che vanno analizzati e soppesati sistematicamente per giungere a una opinione ragionata e fondata. Un’opera d’arte non si presta ad ospitare analisi del genere, che trovano invece la loro sede giusta in articoli, saggi e libri. Di conseguenza possono nascere opere d’arte, o presunte tali, che mettono un accento forte su taluni elementi e ne trascurano altri, contribuendo a diffondere opinioni distorte e sbilanciate. Non di rado capita che l’artista pensi più a far propaganda alle proprie idee politiche che a fare arte. Qualche riserva esprimo anche in merito al parere dello Staud sui rapporti con il pubblico: “Fin quando i compositori scrivono per loro medesimi (come pubblico ideale), un brano è onesto, quando cominciano a scrivere per un pubblico largo il risultato è vacuo e la minestra diventa sgradevole”. Ancora più netta e lapidaria è la frase riportata sul programma del Lucerne Festival: “Io scrivo ciò che io stesso voglio ascoltare”. Per parte mia vedo poco senso nello scrivere musica senza aver riguardo a chi l’ascolterà. In passato molti compositori, per vivere, erano costretti a soddisfare il pubblico e ciononostante crearono grandi capolavori. Anzi, talvolta le costrizioni ne stimolarono la fantasia e le facoltà creative. Beninteso, per pubblico non intendo la grande massa, ma quelle persone che, pur senza possedere conoscenze specifiche nel campo musicale o filosofico, hanno un certo livello intellettuale e sensibilità per l’arte dei suoni.
A questo proposito mi permetto una divagazione per citare un insigne coreografo del nostro tempo, Maurice Béjart: “Credo che la libertà, nell’arte, consista nel superare le costrizioni e non evitarle. Una libertà che non si è conquistata non è una libertà. La permissività è l’ostacolo peggiore per un artista. Qualunque costrizione ci obbliga ad astuzie inaudite. Qualunque censura fa lavorare l’immaginazione, e la ribellione che comporta è fonte d’ispirazione. Anche la mancanza di mezzi (ne so qualcosa) dà delle idee, e un’idea vale sempre di più di una scenografia sontuosa costata molto denaro.” (Maurice Béjart, “Lettere a un giovane danzatore”, Lindau s.r.l., Torino)
Quest’anno il Lucerne Festival ha chiamato Johannes Maria Staud come compositore residente (“composer-in-residence”) e messo in programma due suoi lavori importanti, in prima assoluta: un concerto per violino e orchestra d’archi con percussione designato “Oskar (Towards a Brighter Hue II)” e un’opera intitolata “Die Antilope” (la seconda dello Staud, dopo “Berenice”). Il 27 agosto ho ascoltato il concerto per violino e orchestra. Questa composizione è meno innovativa di quanto sembri a prima vista. Inizialmente fa molto uso del pizzicato, cui spetta il compito di determinare un ritmo alquanto marcato e aggressivo; più avanti e fino al termine lo Staud si compiace in una lunga serie di tremoli. Ci sono, come in tanta musica contemporanea, fremiti preceduti o seguiti da note lunghe e tese. In parecchi punti il volume si abbassa fino al limite del percettibile e la partitura tende a produrre delicatezze e suoni affilati, anche in zona sovracuta. L’aspetto più interessante del concerto risiede nei timbri. Il compositore è andato alla ricerca di un mondo sonoro personale combinando con accortezza archi e percussione. L’impressione generale è quella di una atmosfera algida e aliena da ogni sia pur piccolo abbandono lirico. Midori, che ha sostenuto la parte solistica, è una grandissima maestra della raffinatezza. Ha saputo penetrare con insuperabile bravura in tutte le sottigliezze della composizione. Il pubblico ne è rimasto incantato e ha tributato a lei applausi ancora più intensi che al compositore (presente in sala). Già, che effetto avrebbe prodotto sugli ascoltatori questa musica senza di lei? Oltre alla solista siano elogiati che il direttore James Gaffigan e il Luzerner Sinfonieorchester, i quali hanno completato la serata con esecuzioni pregevoli dell’ouverture dell’”Oberon” di Weber e della sinfonia detta “La Grande” di Schubert.
La stagione lirica di Como
Il Teatro Sociale di Como aprirà la stagione lirica 2014/2015 il 26 settembre con il “Don Giovanni” di Mozart (replica il 27 settembre). Seguiranno “Adriana Lecouvreur” di Cilea (16 e 18 ottobre), “Nabucco” di Verdi (3 e 5 dicembre), “Les contes d’Hoffmann” di Offenbach (19 e 21 dicembre) e “Madama Butterfly” di Puccini (9 e 11 gennaio). È un cartellone, per quanto riguarda la scelta delle opere, interessante ed equilibrato. Merita elogio l’aver mantenuto il numero dei melodrammi a cinque, come in passato (con i tempi che corrono altri teatri, italiani e non, hanno dovuto effettuare riduzioni). I cantanti, come di solito, sono in gran parte giovani, tuttavia noto che nelle stagioni scorse sono stati preparati accuratamente e si sono disimpegnati in modo molto lodevole; non dubito che sarà il caso anche questa volta. L’Orchestra I pomeriggi musicali di Milano e il Coro del circuito lirico lombardo garantiranno come sempre prestazioni di ottimo livello. Un punto interrogativo sarà costituito, almeno per chi scrive, dai registi. Mi auguro, come disse un grande direttore d’orchestra, che lavorino “per” le opere e non “sulle” opere”. O che, vista la presenza dell’”Adriana Lecouvreur” nel cartellone, si considerino, come dovrebbero, umili ancelle del genio creatore. Una celebrità mondiale in campo registico sarà Graham Vick, il quale si occuperà del “Don Giovanni”.
Al di fuori della stagione lirica si terrà, il 19 ottobre, un concerto dal titolo altisonante “In questi divini luoghi” con l’Orchestra della Svizzera italiana diretta da Pietro Mianiti. Collaboreranno la soprano Bianca Tognocchi, il tenore Marco Ciaponi e l’attore Claudio Moneta. Ecco il programma, davvero singolare: Rossini, “L’italiana in Algeri”, sinfonia, Rossini, “Il viaggio a Reims”, “Partir, oh ciel!”, Bellini, “I Capuleti e i Montecchi”, “È serbata a quest’acciaro”, Mendelssohn, Saltarello dalla quarta sinfonia, Wagner, Idillio di Sigfrido, Fauré, “Pavane” op. 50, Ranzato, “Il paese dei campanelli”, Fox della luna.
Carlo Rezzonico
« Cosa vuol fare la BSI? L’imam Blancho pretende di dare più visibilità all’Islam! »