“Manon” con Natalia Osipova alla Scala
Spazio musicale
Nel balletto “L’histoire de Manon”, come nel lavoro letterario da cui trae l’argomento e come nelle versioni operistiche di Auber, Massenet e Puccini, la protagonista è combattuta tra una vera passione amorosa e la lusinga della ricchezza. Cede ora all’una e ora all’altra. Di conseguenza la vicenda presenta una grande varietà di personaggi, ambienti e situazioni. Un rilievo considerevole ha Lescaut, fratello di Manon, donnaiolo, dissipato ed esperto nel barare al gioco. Cito quale esempio la scena in cui il facoltoso Morfontaine cerca di conquistare i favori della donna e danza con lei, ma interviene anche Lescaut per coadiuvarlo e indurre la sorella a cedere, dando vita a un passo a tre assai originale. Importante nel balletto è anche l’amante di questo avventuriero, chiamata a svolgere una parte vivacissima e in parecchi punti virtuosistica. Belli sono i momenti dedicati alle folle, come la scena nel cortile della locanda vicino a Parigi, quando si attende l’arrivo di Manon, la festa “Chez Madame”, luogo di appuntamenti e corruzione, o l’adunanza dei curiosi che vogliono assistere allo sbarco delle prostitute esiliate. Ma naturalmente su tutto dominano i due grandi innamorati. Des Grieux sfoggia subito una danza al tempo stesso raffinata e trepidante, con la quale attrae a sè Manon; in quel punto la musica riflette nel migliore dei modi i sentimenti del giovane utilizzando un motivo breve e sensuale, ripetuto ostinatamente, come per sottolineare la sua irriducibile volontà di raggiungere lo scopo (di passaggio sia detto che la partitura musicale del balletto è stata confezionata unendo e adattando brani di Massenet di estrazione assai diversa – ma escludendo totalmente pezzi dell’opera omonima – scelti e amalgamati con mano molto felice). A Manon la coreografia riserva una sola variazione, tuttavia relativamente estesa e strettamente collegata, sul piano drammaturgico, con l’episodio che segue, nel quale la donna viene sollevata via via da diversi personaggi: il tutto suscita una atmosfera tesa, misteriosa e minacciosa (infatti poco dopo si scatenerà il dramma). Detto questo non c’è dubbio che le pagine migliori siano i passi a due: esitante e freddino agli inizi, poi sempre più trascinante, fino alla decisione degli innamorati di fuggire insieme, quello che si svolge nel cortile della locanda vicino a Parigi; appassionatissimi e ardenti, nonostante qualche screzio che turba la coppia, quelli del secondo quadro del primo atto e del secondo quadro del secondo atto; commovente e tragico infine quello della scena conclusiva, tra le paludi della Louisiana, dove Manon, dopo un ultimo soprassalto di vitalità dedicato all’uomo amato, muore tra le sue braccia.
L’8 novembre Natalia Osipova, la ballerina attualmente più acclamata a livello mondiale, ha interpretato alla Scala, per la prima volta nella sua carriera, “L’histoire de Manon”. Lo ha fatto sottraendo al personaggio quel che di frivolo e leggero che gli appartengono e che è necessario per dare una ragione agli episodi di volubilità da cui scaturisce tutta la vicenda. La sua Manon è stata inizialmente smarrita e trasognata, poi appassionata, infine tragica. Fatta questa osservazione non resta spazio che per elogi incondizionati. Stupisce nella Osipova il dominio assoluto del corpo e la capacità di piegarlo a tutte le esigenze poste dalla coreografia. Stupisce anche che la ballerina, interpretando per la prima volta una parte complessa come quella di Manon, abbia già raggiunto risultati di così alto livello. La sua interpretazione della variazione è avvenuta sul piano tecnico con movimenti delle braccia, punte e giri perfetti e sul piano espressivo con una signorilità e un distacco che erano solo apparenti perché dietro si indovinava il presagio del dramma imminente. Superlativa (e avverto l’eventuale lettore che non esagero usando aggettivi grossi a ripetizione) è stata, per l’intensità drammatica, nella scena con il carceriere e più ancora nel passo a due prima della morte. Accanto a lei ha danzato Claudio Coviello, un giovane scaligero in ascesa, mettendo in evidenza qualità considerevoli; ci aspettiamo parecchio da lui. Bravi Alessandra Vassallo (amante di Lescaut), Mick Zeni (Lescaut) e tutti gli altri.
Se questa fosse la recensione, non di un balletto, ma di un concerto sinfonico, molte parole dedicherei a David Coleman e all’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala, autori di una prestazione ammirevole, soprattutto per la fusione, la finezza nel cesellare le preziosità della partitura e il modo di tornire le melodie.
Successo incandescente.
Concerti d’autunno
Il concerto del 7 novembre al Palazzo dei congressi di Lugano, nel quadro dei Concerti d’autunno, si è aperto con “Pastorale d’été” di Honegger: un brano intessuto di suadenti melodie affidate per lo più ai fiati, che emana pacatezza e distensione. John Axelrod dal podio e l’Orchestra della Svizzera italiana ne hanno dato una interpretazione attenta e aderente allo spirito della composizione. Hanno fatto seguito il Concerto per fagotto e orchestra Ricordi da “Il figliol prodigo” di Mercadante e il Capriccio per fagotto e orchestra di Verdi. Al posto di Sergio Azzolini, il quale ha dovuto rinunciare per cause di forza maggiore, si è presentato come solista al fagotto Diego Chenna, che con l’Azzolini, come informa il comunicato di Rete Due, aveva studiato. Il brano di Mercadante ha poche pretese ma contiene passaggi melodici di un certo pregio, che il Chenna ha messo in valore con impegno e sensibilità. Di maggior levatura è il Capriccio verdiano. Il compositore ha messo in campo risorse notevoli: dopo l’introduzione dei “tutti” è partito con brevi frammenti del fagotto alternati a interventi orchestrali in quello che potrebbe essere chiamato, utilizzando il linguaggio operistico, un recitativo accompagnato per finire con episodi virtuosistici assai impegnativi. Il Chenna ha suonato il tutto in modo impeccabile e successivamente, fuori programma, ha offerto un interessante “Valzer triste” di Francisco Mignone, mettendo in rilievo possibilità dello strumento, specialmente in zona acuta, usate raramente.
La seconda parte del concerto era occupata dalla terza sinfonia di Schumann in una esecuzione che, grazie alla linea interpretativa dell’Axelrod e alla bravura dell’Orchestra della Svizzera italiana, può essere definita esemplare. Nel “Lebhaft” il direttore ha profuso senza esitazioni tutti gli ardori romantici della composizione, riuscendo anche – non era facile – a far convivere senza rotture sgradevoli i due temi
del tempo: quello festoso, gagliardo, trionfale che appare immediatamente in apertura e quello blando, sereno, un poco sognante che emerge più avanti. Assai ben eseguite sono state le delicate movenze e il dolce ondeggiare di quello che impropriamente venne designato “scherzo” come pure le melodie elegiache e carezzevoli del “nicht schnell”. Direttore e orchestra hanno trovato la giusta calibratura per l’austerità e la solennità, ma anche per gli aspetti sacri, del “feierlich”. Con queste caratteristiche hanno poi contrastato la scioltezza e la gioia di vivere che scaturisce dal “lebhaft” finale.
Pubblico abbastanza numeroso e applausi molto sentiti sia per il solita sia per il direttore e l’orchestra.
Carlo Rezzonico
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