Lettera a un conservatore
Foto: ticinolive.ch
L’omaggio dell’Avv. Dr. Tito Tettamanti
Caro Gianfranco,
ricordo che in uno dei nostri conversari parlando di chi come noi ha il coraggio di riconoscersi conservatore ti dissi: siamo rimasti in pochi. Tu, con una di quelle tue frasi lapidarie e ironiche, mi rispondesti: e anche meno.
Siamo stati amici per una vita, non di quelle amicizie fatte di contatti pressoché giornalieri e quindi obbligate alle banalità del quotidiano. Anche se per qualche tempo non ci sentivamo sapevamo entrambi che l’altro c’era. Per me un interlocutore non facile da soddisfare, fermo nelle sue convinzioni, ma sempre stimolante che basava le sue analisi e i suoi giudizi anche su un bagaglio culturale di tale vastità che non concedeva posto alle sciocchezze o alle superficialità.
Ci siamo conosciuti da giovani della stessa generazione e la differenza d’età (sono di quattro anni più avanti) era colmata dalla comune paesanità: Bioggio, il paese tuo ma anche di mia madre e dove mio zio Pianca era stato maestro e segretario comunale.
Tra i miei primi passi in politica vi furono quelli nel ristorante della tua famiglia, di tuo nonno “ul Sciur Rico” del quale si dice tu abbia ereditato il carattere diciamo risoluto.
Tuo padre Franchino lo ricordo per la fiducia, simpatia e appoggio che mi ha sempre dato nelle mie campagne politiche.
Ci siamo ritrovati anni dopo uomini fatti e all’amicizia e alle comuni radici si è aggiunta una solida stima maturata nell’esperienza e nell’approfondimento delle nostre convinzioni. La parola conservatore non solo cadeva allora in disuso, ma veniva evitata come qualcosa di negativo. A noi, per contro, sembrava che in politica taluno volesse rinnegare la propria storia e dimenticare i meriti passati.
E in questo ci accomunava il nostro essere conservatori, il non lasciarci abbagliare dalle mode, il non accettare ogni cosa che fosse nuova quale segno di progresso.
Massima poi la nostra irritazione negli anni del “political correct”, dinanzi a quell’uniformarsi tutti nel coro della musica del momento, cosa che disturbava particolarmente il nostro senso di indipendenza, la nostra lealtà e innanzitutto quei principi e valori che ritenevamo fossero i migliori.
Certo, il conservatore è un realista e pertanto giudicato a torto senza sensibilità per non voler seguire le utopie. Certo, per noi le virtù borghesi che hanno fatto il successo del nostro Paese sono da salvaguardare. Le tradizioni per noi hanno un valore identitario che permette di vedere nella Patria qualcosa di più di un’organizzazione di mutuo soccorso.
Eravamo tra i pochi che non concepiscono il doppio passaporto, che per noi voleva dire l’impossibile lealtà a due Paesi diversi.
Per me, impegnato professionalmente in varie parti del mondo, il mio essere conservatore era un modo di sentirmi radicato nella mia terra, ma si limitava allora a un esercizio più che altro intellettuale.
Tu, invece, e di questo l’intero Paese ti deve l’onore delle armi, hai pagato di persona, hai cambiato Partito per non cambiare te stesso, hai con coraggio continuato le battaglie democratiche, anche quando eri in chiara minoranza hai accettato per onestà intellettuale di essere la vox clamantis in deserto.
La tua intelligenza e la tua dimensione culturale spesso ti portavano a indignarti dinanzi all’insipienza e all’ipocrisia. Da qui le tue temute reazioni. Quelle sferzanti e ironiche con scritti di grande impatto che davano spesso fastidio anche per la loro ironia. Quelle dove usavi lo spadone e non certo il fioretto. Quelle dove il carattere sanguigno, forse ereditato dal nonno Rico, non si sapeva trattenere lasciando spazio all’intemperanza.
Tutto ciò veniva spesso usato per dire che eri un caratteraccio e un intollerante. Ne abbiamo discusso a suo tempo e concluso (anche il mio non è un carattere facile anche se uso più il fioretto) che essere giudicati per le spigolosità è un complimento, perché ciò presume che si abbia veramente carattere, ciò che non è da tutti.
Per quanto concerne la tolleranza, lo stesso Popper ci insegna che la nostra tolleranza ha diritto di fermarsi dinanzi all’intolleranza altrui. Ti sei battuto (ci siamo battuti) per ciò che credevi giusto, facendo certo errori ma assumendone la responsabilità e cosciente di non essere il depositario della verità, quindi senza fanatismo.
Il Paese non ti ha certo dato quello che tu meritavi, ma so che per te non ha importanza, ciò che importava per te era essere te stesso, un convinto difensore di quelli che tu consideravi i valori del Paese.
Addio battagliero irascibile, indomabile Gianfranco. Senza di te siamo in “molti di meno” e io in particolare mi sentirò più solo.
Tito
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