Les jeux sont faits

Domenica a mezzogiorno si chiuderanno le urne e avremo la risposta alle nostre domande circa la composizione del nuovo parlamento svizzero e – forse, più importante per noi, ma non necessariamente – come sarà composta le deputazione ticinese. Chi avrà vinto, chi avrà perso, ci saranno stati ribaltoni oppure no, le nostre aspettative saranno state soddisfatte? Una quindicina di giorni per esternare la propria soddisfazione per aver vinto o per esibirsi nelle più inverosimili arrampicate sui vetri per giustificare – magari dando la colpa a tutti salvo che a sé stessi – l’indigeribile sconfitta. Poi, si tornerà (finalmente) alla vita quotidiana, infinitamente più importante, nella speranza, se non proprio nella convinzione di aver cambiato qualche cosa.
Come tutti, nutro la speranza che qualcosa cambi in meglio, naturalmente nella direzione delle idee e delle politiche dell’UDC, che considero il mio partito e per il quale ho votato con convinzione. Tuttavia, avrei sprecato 76 anni di vita se in tutto questo tempo non avessi accumulato una certa dose di – magari un po’ cinico ma giustificato – scetticismo nei confronti di quella politica integerrima e puramente idealistica sventolata un po’ da tutti i candidati in campagna elettorale.
Diverse sfumature, ma due soli campi: destra e sinistra
Da quando sono entrato in politica attiva, ho sempre riconosciuto solo due orientamenti: destra e sinistra. Nel primo confluiscono le forze liberali, la cui politica predica (e attua nel limite che le altre forze in campo le permettono) la massima libertà e responsabilità individuale, una socialità finanziariamente sostenibile, una gestione oculata del denaro pubblico, e la minore ingestione possibile dello Stato nel settore privato. L’orientamento di sinistra, invece, prevede l’esatto contrario: limitazione massima della libertà e responsabilità individuale a favore di uno Stato impiccione e paternalista che regoli la nostra vita a suon di regolamentazioni e divieti, una socialità a tutto campo – in realtà si chiama assistenzialismo – che va ben al di là delle reali necessità e che ci costa un sacco di soldi; soldi che però è l’odiata economia a dover produrre perché, da quando esiste, la macchina socialista non è mai stata in grado di generare il becco di un quattrino.
Il centro – con cui si vorrebbe etichettare una ragionevole tendenza al compromesso – non esiste, è una linea di demarcazione fra destra e sinistra, non una banda larga al punto di ospitare tutto e il contrario di tutto, come lo spacciano quelli che una volta erano partiti borghesi a tutto diritto ma che, a furia di compromessi e accordi con la sinistra, di borghese non hanno proprio più nulla. Oggi, in Svizzera, esiste praticamente solo una destra chiara e coerente: l’UDC (in Ticino alleata con la lega dei Ticinesi e con l’UDF). Tutti gli altri partiti – a eccezione di qualche sporadico movimento minore – sono solo diverse sfumature della sinistra. Infatti, in parlamento, PLR e Centro sostengono la maggior parte delle volte le proposte della sinistra miranti a sempre più regolamentazioni e divieti, allo sperpero di denaro pubblico in azioni e iniziative sociali superflue quando non addirittura controproducenti, e sempre più la messa sotto tutela dei cittadini da parte dello Stato. A mio avviso, così facendo, questi partiti hanno perso il diritto di chiamarsi liberali e borghesi, valori che, purtroppo, a livello nazionale è rimasta solo l’UDC a difendere.
Il travaso di voti a destra (ma anche a sinistra)
La costante perdita di consensi dei «partiti di centro» – quelli che personalmente considero una sinistra «moderata», ma solo per distinguerli da quella estrema rappresentata da PS e Verdi – è una conseguenza diretta di questa ambiguità. Non si possono tenere sotto lo stesso cappello persone di pensiero opposto facendo loro credere di poterle soddisfare entrambe. Presto o tardi i nodi vengono al pettine. E chi è liberale si sente tradito da un partito la cui ala radicale non si distingue ormai più dal PS o, nel caso del Centro, il discorso vale per l’ala sindacal-sociale. Ma lo stesso succede anche con l’ala sinistra, la quale si sente ovviamente tradita quando – non fosse che per facciata – il partito prende (raramente) posizioni a favore di proposte della destra. In entrambi i casi, anche perché l’appartenenza a un partito per «tradizione di famiglia» è sempre meno sentita, parecchi militanti cambiano casacca preferendo l’originale a una copia non del tutto conforme. E quindi: UDC e/o PS erodono inesorabilmente ogni volta qualche voto in più.
Come andrà?
Ovviamente, non ho la sfera di cristallo. Tuttavia, l’atmosfera che si sente in giro fa ben sperare per il mio partito. Anche i sondaggi, per quello che valgono, ammettono a denti stretti che l’UDC è in crescita. Se poi Ignazio Cassis aggiunge altre gaffe a quelle finora inanellate – leggi «Io non dirò mai Switzerland first», «La Svizzera non si fa a Berna ma a Bruxelles» o la svendita della nostra neutralità a favore di Zelenskij – il travaso di voti nell’UDC non potrà che aumentare a favore di tutta la comunità. A mio avviso del tutto personale, s’intende.
« Dal mondo Dai comuni »