L’antirazzismo produce curiosi effetti

Feb 5 • L'opinione, Prima Pagina • 431 Views • Commenti disabilitati su L’antirazzismo produce curiosi effetti

Rolando Burkhard

Sul senso o l’assurdità della nostra norma penale antirazzismo (Art. 261bis CPS) e sulla sua applicazione sono già stati spesi fiumi di parole. In essa si legge, fra molto altro: “Chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia, religione o per il loro orientamento sessuale … è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.”

Si possono avere pareri discordanti sull’applicazione di questa norma penale. Il suo utilizzo attuale, ma verosimilmente anche quello futuro, da parte dei nostri procuratori e tribunali poggia sulla sua ampia interpretabilità ma, soprattutto, su cosa la nostra cosiddetta “società civile” percepisce come “razzista”. Finora, comunque, la perseguibilità presuppone che qualcuno perlomeno DISCREDITI O DISCRIMINI qualcun altro in modo lesivo della dignità umana. Ma ciò potrebbe presto cambiare.

Stereotipizzazione e “razzismo positivo“

Perché adesso, improvvisamente, la nostra cosiddetta “società civile” introduce i concetti di “stereotipizzazione e di “razzismo positivo” quali comportamenti razzisti perseguibili. Così, pure delle espressioni NON DISCREDITANTI o DISCRIMINANTI, o addirittura intese in senso positivo, su differenze fra razze, etnie, eccetera, dovrebbero essere considerate offensive e (ovviamente) diventare anche al più presto perseguibili legalmente.

Un esempio quasi divertente…

Nella trasmissione politica, ben nota in Svizzera, “Arena” della TV SRF1, la consigliera nazionale Yvonne Feri si è lasciata scappare la seguente affermazione: “Sono convinta che Kamala Harris (la nuova vicepresidente USA; NdA) sappia comunque ballare. È una persona di pelle scura ed è originaria delle Hawaii – laggiù questo ritmo è innato”. Questa innocua frase ha suscitato un’ondata di sdegno a livello nazionale da parte degli ambienti di sinistra. Come (tanto per fare qualche esempio) da parte del Collettivo femminista di Zurigo, di una docente ed esperta in questioni di razzismo o della vicepresidente della Commissione federale contro il razzismo  (CFR); e, naturalmente, anche da parte di sedicenti “operatori culturali”.

Di divertente in tutta questa questione c’è solo una cosa: la consigliera nazionale Yvonne Feri appartiene al Partito socialista svizzero (PSS), e lo sdegno proviene quasi esclusivamente dalle sue proprie fila. E così, ha dovuto scusarsi pubblicamente per la sua affermazione “stereotipata”.

…ma la cosa non è assolutamente divertente

No, non è per niente divertente. Perché, per esempio, dovrei essere considerato razzista se, nella cerchia dei miei amici, facessi notare che mia moglie (di origine filippina), quale asiatica è molto più paziente di me (il che, fra l’altro, è vero)? Potrei, in futuro, essere trascinato in tribunale accusato di aver collegato delle buone qualità “con il colore della pelle, l’origine o il sesso di una persona”?

Sarebbe problematico se la “virtù pseudo-antirazzista”, che oggi si sta diffondendo sempre più aggressivamente, seguendo le opinioni di organizzazioni internazionali – spesso espresse unicamente per autoprofilarsi – facesse scuola, trovando presto o tardi accesso alla nostra giurisprudenza. Oggi non siamo forse ancora a questo punto. Ma attenzione! Pensiamo alla Legge di Murphy: “Anything that can go wrong will go wrong (se qualcosa può andar male, lo farà)”. E la politica e la giustizia svizzere sono purtroppo campionesse mondiali della ripresa acritica di qualsiasi standard stabilito da ONG, per fantasioso che sia (il peggio di tutto ciò è che il nostro paese non si limita a prenderne atto con un sorriso e ignorarlo di fatto, bensì è forse l’unico Stato di questo mondo ad applicarlo alla lettera, a danno dei nostri cittadini).

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