La paura fa novanta

Giu 12 • L'editoriale, Prima Pagina • 484 Views • Commenti disabilitati su La paura fa novanta

Eros N. Mellini

Anni ’60 – Fra 10 anni non ci sarà più petrolio!

Anni ’70 – Una nuova glaciazione entro 10 anni!

Anni ’80 – Le piogge acide distruggeranno entro 10 anni tutti i raccolti!

Anni ’90 – Lo strato di ozono sarà distrutto entro 10 anni!

Anni ‘00 – Entro 10 anni spariranno i banchi di ghiaccio!

2000 – Il terzo millennio (Y2K) distruggerà tutto!

2001 – L’antrace ci ucciderà tutti!

2002 – Il virus del Nilo occidentale ci ucciderà tutti!

2003 – La SARS ci ucciderà tutti!

Da 60 anni – o forse anche qualcuno di più – veniamo bersagliati da previsioni apocalittiche in confronto alle quali quelle di Nostradamus sembrano l’innocuo oroscopo di un giornale domenicale. Ma che cosa hanno in comune?

Innanzitutto, non si sono avverate

Accanto a quelle che proprio non si sono avverate del tutto e che sembrerebbero più delle maledizioni divine che non delle previsioni umane – tipo la scomparsa del petrolio, il calendario Maya o la 3a guerra mondiale a opera di Kim Jong-Un – le altre hanno arrecato sì qualche danno, anche grave, ma sono ben lungi dall’essersi rivelate fatali per la sopravvivenza del pianeta o anche solo della razza umana.

Sono costate un occhio della testa

Anche questo è un punto in comune di questi deliri che ci perseguitano con inesorabile regolarità. Perché la tendenza a contrastare questi fenomeni a suon di imposte, tasse e aumenti di prezzi, ha fatto sì che il costo della vita aumentasse e tenda ad aumentare sempre di più. Riempiendosi la bocca di paroloni e assumendosi la missione – che peraltro nessuno ha loro attribuito – di salvare il mondo, i vari governi trascurano quella, ben più importante, del  benessere dei propri cittadini. Per «pulire» il mondo a suon di miliardi estorti ai contribuenti, trascurano l’esercizio ben più a buon mercato di spazzare davanti alla propria porta.

Perché ci lasciamo condizionare a tal punto?

È difficile dare una risposta, probabilmente ce n’è più di una. Ci sembra interessante quella avanzata recentemente secondo cui, a monte di questo comportamento, ci sarebbe la «cattiva coscienza» e il facile «autoperdono» in cambio di un modico sacrificio pecuniario (peraltro mica tanto modico se accumulato). Una «cattiva coscienza» sapientemente (e subdolamente) inculcataci da chi poi ne sa sfruttare le conseguenze per i suoi interessi finanziari, politici o quant’altro. Una sorta di moderno mercato delle indulgenze. Ci si colpevolizza di qualsiasi cosa, affinché si accetti di pagare senza eccepire delle quote di «riparazione» sotto forma di tasse ad hoc. E non si tratta di innocue penitenze del tipo due Padrenostri e tre Avemmarie che il parroco ci imponeva dopo la confessione, bensì di salassi pecuniari che vieppiù vanno a impoverirci e a renderci la vita più dura. Un pochino alla volta, intendiamoci, non si può dissanguare d’un colpo la gallina dalle uova d’oro. Ma l’effetto di questi progressivi «volontari» salassi è lo stesso.

Non solo motivi finanziari

Questo metodo – ossia di inculcare sensi di colpa al fine di far «acquistare indulgenze» sotto forma di concessioni di varia portata – è stato ben sfruttato dalla sinistra che, dei soldi degli altri, ha sempre saputo fare l’alimento della sua stessa esistenza. Ma con il tempo, ci si è accorti che poteva essere applicato pure a settori non prettamente finanziari, benché, tutto sommato, anche questi non siano sempre esenti da un interesse pecuniario.

Così, per esempio, le esagerate leggi antirazzismo (art. 261bis del CPP) spinte all’estremo, puntando su degli ingiustificati sensi di colpa per quanto fatto o non fatto da altri in passato. O le quote rosa, per «pagare» un passato patriarcale. O il matrimonio fra omosessuali per «riparare» a secoli d’emarginazione.

Un mondo diviso fra buoni e cattivi

Questo lavaggio del cervello – di cui la maggior parte della gente è inconsapevole, perché astutamente fatto passare per spontaneo – ha fatto sì che l’opinione pubblica si sia spaccata in due, senza sfumature, o bianco o nero, fra «acquisitori di indulgenze» (i buoni) e i novelli «Martin Lutero» (i cattivi) che non provano alcun senso di colpa o, quantomeno, non se ne lasciano influenzare. Fra i buoni, naturalmente, ci sono i meno abbienti che pagano poche o nulle imposte, e che quindi vedono di buon occhio un maggiore carico fiscale per i ricchi, sperando di godere poi della loro fetta al momento della ridistribuzione. Fra i cattivi contrari, invece, una crescente fascia del ceto medio che ogni volta si vede ridurre il potere d’acquisto del suo stipendio e che, a poco a poco, riesce ad aprire gli occhi e riconoscere l’assurdità di questo «masochismo catartico».

Conclusione

La verità è che moriremo tutti sì, è inevitabile, ma non nello stesso momento e non necessariamente per le cause citate sopra. E da questa inevitabile fine, non scamperemo di certo accettando di «pagare le indulgenze». In compenso, queste ci renderanno più difficile e faticoso portare a termine il percorso esistenziale che il fato ci ha destinato.

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