Dopo 21 anni, un risultato storico
L’UDC Ticino – fino ad allora restato praticamente arroccato sulla politica del vecchio Partito agrario, e rimasto con un unico deputato in Gran Consiglio – fece la cosiddetta “svolta blocheriana” solo nel 1998, quando la presidenza cantonale fu affidata al Dr. Alessandro von Wyttenbach. Da allora ho assistito a tutti gli alti e bassi che il partito ha dovuto vivere nel contesto della politica ticinese, in particolare nell’ambito della difficile convivenza con la Lega. A quei tempi, erano presenti nell’UDC dei pezzi da novanta come Innocente Pinoja, il Dr. Gianfranco Soldati, l’avv. Giancarlo Staffieri, e altri ancora mentre, sul fronte della Lega l’interlocutore era uno solo: Giuliano Bignasca. Molti obiettivi erano comuni – in particolare i rapporti con l’UE – ma una cosa fu subito evidente: il cambio di rotta dell’UDC Ticino era avvenuto troppo tardi. La Lega dei Ticinesi era già da otto anni sul mercato e aveva sostenuto con successo sei anni prima la votazione sullo Spazio economico europeo (SEE), mentre l’UDC cantonale era rimasta al palo. Da qui il forzato ruolo di gregario dell’UDC, nonostante che l’arrivo di Gianfranco Soldati, confluito nel partito con il suo Polo della libertà, ne avesse aumentato il peso specifico e triplicato la presenza in Gran Consiglio. L’ascesa continuò poi, lentamente, con alti e bassi elettorali, assestando il consenso nei confronti dell’UDC a un 6/7% a livello cantonale, con un aumento a livello federale attorno all’11% che ci portò poi, nel 2011, all’elezione di Pierre Rusconi al Consiglio nazionale, dove fu poi sostituito nel 2015 da Marco Chiesa. Da quest’anno, tuttavia, le cose sono parecchio cambiate. La Lega ha subito una prima non indifferente flessione in aprile, quando l’apporto dell’UDC nella lista unica per il Consiglio di Stato è stato determinante per la rielezione di Claudio Zali. Questa flessione si è poi confermata il 20 ottobre, con la perdita (purtroppo) del seggio al Nazionale di Roberta Pantani e con il magro risultato di Battista Ghiggia per gli Stati. L’accordo Lega/UDC prevedeva che quello dei due – Chiesa o Ghiggia – che avesse ottenuto il miglior risultato al primo turno, sarebbe poi stato sostenuto al ballottaggio dall’altro partito. E, nonostante gli appelli subliminali lanciati dagli avversari – vedrete, via Ghiggia i leghisti non voteranno Chiesa – la Lega ha invece rispettato appieno l’accordo, e Marco Chiesa è ora consigliere agli Stati. L’auspicio è quello di essere finalmente arrivati a un rapporto alla pari fra i due partiti, foriero di una futura sempre più stretta e proficua collaborazione.
Diversi tasselli giusti al posto e al momento giusto
Oltre al citato voto compatto della Lega anche al ballottaggio, a mio avviso sono molteplici i fattori che hanno portato il successo – soprattutto nelle dimensioni – del candidato UDC. Innanzitutto, la sua personalità: benché sufficiente fermo e convinto sulle sue posizioni, Marco Chiesa è apparentemente conciliante, almeno nei dibattiti, non scade di tono con isterismi e attacchi personali. Ciò piace alla gente e il consenso è quindi trasversale ai diversi partiti. In secondo luogo, i temi: l’indipendenza e la libertà della Svizzera nei confronti di un’UE sempre più dispotica, l’ostilità al servilismo del nostro “establishment” (rappresentato nella fattispecie da Lombardi e Merlini) nei riguardi dell’Europa e di qualsiasi Diktat proveniente dall’estero, l’opposizione ferma a Schengen, libera circolazione, accordo-quadro, eccetera e, infine, la difesa della priorità indigena sul mercato del lavoro, sono temi che nessuno può negare essere da sempre prerogativa dell’UDC e della Lega. Al contrario dell’isteria verde – carro sul quale l’UDC ha fatto bene a non salire – che i partiti di centro hanno goffamente tentato di cavalcare all’ultimo momento, perdendo credibilità. Terzo, l’innaturale coalizione fra PLRT e PPD che, sebbene con il sistema maggioritario previsto per il Consiglio degli Stati i partiti non dovrebbero influire, ha scattivato quella parte di entrambi i partiti che ha vissuto con passione la storica battaglia partitica (spesso con un sapore più di faida che di battaglia, ma comunque sempre credendo nell’assoluta incompatibilità fra le due compagini). Una congiunzione opportunistica e raffazzonata, dettata solo dalla paura di perdere il PPD il suo secondo seggio al Nazionale e, il PLR, il seggio agli Stati lasciato vacante da Fabio Abate. Ebbene, un calcolo rivelatosi sbagliato che, se ha soddisfatto la prima parte degli auspici – ossia il salvataggio del seggio PPD di Marco Romano, purtroppo a scapito di Roberta Pantani – non solo non ha salvato quello del PLR agli Stati, ma ha anche sorprendentemente estromesso dalla Camera alta Filippo Lombardi, la cui rielezione sembrava scontata. L’estromissione dalla competizione di Giovanni Merlini era pressocché inevitabile, dato che non poteva contare al ballottaggio sull’appoggio della sinistra della cui candidata era l’avversario diretto, e che quindi non poteva permettersi di dare a lui il secondo voto. In definitiva, i vertici dei due partiti storici qualche ripassatina al marketing dovrebbero darsela, specialmente al capitolo costi/benefici: hanno salvato un seggio al Nazionale, per perderne due agli Stati.
Le aspettative
Le aspettative sono alte, a volte addirittura utopiche. Ho letto in un post su Facebook: “E adesso, subito 30’000 frontalieri in meno!”. Frena Ugo! Un deputato su 46 può fare il possibile, magari un po’ d’impossibile, ma miracoli… no. Marco Chiesa farà sentire la voce e la dissidenza dei Ticinesi sui temi che maggiormente affliggono il nostro cantone, sicuramente con più determinazione e incisività di chi lo ha preceduto, e questo è già un passo avanti. Con la sua nota capacità di dialogare, potrà ottenere delle maggioranze su rivendicazioni particolari che il Ticino può avanzare nel contesto federale. Dal canto suo, Piero Marchesi farà lo stesso in Consiglio nazionale. Il Ticino che vota regolarmente con l’UDC sui temi puntuali di politica UE sarà rappresentato decisamente meglio sotto la cupola di Palazzo federale, ma anche loro, di miracoli non ne potranno verosimilmente fare. Ma sicuramente si batteranno affinché possano avvenire. E, visto l’atteggiamento arrendevole dei loro predecessori, non è poco.
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