Che valore ha un „non-paper“?
In inglese “paper” significa semplicemente carta, ma per “a paper” si intende un documento; uno qualsiasi, indipendentemente dal contenuto. Un “non-paper” è dunque un documento che non esiste affatto, non dovrebbe quindi avere alcun valore: nemmeno quello della carta su cui è stato scritto.
Lungi invece dall’essere così. Il concetto di “non -paper” deriva di fatto dal linguaggio diplomatico. Con esso si intende un documento di lavoro di grande importanza ma dichiarato non ufficiale. Non ha perciò alcuno status né vincolante, né tantomeno formale o giuridico. È però una base di discussione per l’elaborazione di un documento ufficiale nei gremi internazionali. E apre la via al negoziato su una proposta, sulla quale non ci si vuole o non ci si PUÒ ANCORA dichiarare.
Perché questa dissertazione introduttiva sui “non-papers”? Semplicemente perché la Svizzera dovrà ben presto occuparsi di uno di questi. Eccome! E sarebbe bene se lo facesse dapprima in Parlamento. Perché anche con un “non-paper” si sta svendendo la Svizzera. Solo le parole “PUÒ” e “ANCORA” scritte in lettere maiuscole qua sopra si oppongono per il momento a questo concetto.
Concretamente si tratta di un documento redatto dal nostro segretario di Stato e capo-diplomatico Yves Rossier. Un documento che ha elaborato assieme al suo omologo dell’UE e compagno di studi David O’Sullivan (ambedue hanno studiato al College europeo di Bruges, la più europea delle università europee, nella quale – nota bene – Rossier ha ottenuto il suo diploma in “Advanced European Studies”). Un documento che abbozza i tentativi di soluzione delle questioni istituzionali nei nostri rapporti con l’UE. Fra queste, naturalmente, la soluzione regina dell’UE: ossia che sia la Corte di giustizia dell’UE (CGUE) a decidere in casi di litigi bilaterali fra la Svizzera e l’UE (trovata originale di Rossier: “Sì, sono giudici stranieri ma, dopotutto, si tratta anche di diritto straniero”).
Nella sua infinita saggezza, questa “soluzione-CGUE” è poi stata privilegiata anche dall’insieme del Consiglio federale. E adesso il documento (scusate: non-documento) con la proposta di soluzione giace a Bruxelles. Magari nella stessa pila in cui sta anche la nostra richiesta d’adesione, però in cima. Ma la speranza che lì marcisca è tuttavia molto tenue.
Perché, neanche il tempo di arrivare, che in un battibaleno l’incaricato degli affari esteri dell’UE Ashton segnalava trionfante una grande disponibilità alla discussione. E la NZZ titolava lo scorso 10 luglio: “Anche l’UE è per la “soluzione-CGUE” (“ANCHE?”). Non c’è da meravigliarsi. Perché il lupo dovrebbe rifiutare di mangiare la pecora assieme al pastore che, ubriaco, gliel’ha offerta su un piatto d’argento?
La via privilegiata dalla Berna federale per entrare nell’UE può ancora essere lunga, ma viene costantemente e testardamente perseguita. E ciò con tutti i trucchi possibili e immaginabili, con “papers” e “non-papers”. Il tutto alle spalle di Parlamento e popolo. Forse, all’occasione, dovremmo mandare a Bruxelles non un ulteriore “non paper”, bensì un terzo “paper”: il patto federale del 1291.
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