Basta con la libera circolazione dei criminali!
Che il Consiglio federale denunci l’associazione della Svizzera all’accordo di Schengen
Quando il 5 giugno del 2005 votammo l’associazione della Svizzera all’accordo di Schengen, e fra le varie promesse del Consiglio federale e dei sostenitori di questa funesta decisione, ci si raccontavano spudoratamente delle menzogne del tipo:
“Durante i negoziati su Schengen è stato possibile salvaguardare contrattualmente il segreto bancario in materia di imposte dirette (imposta sul reddito e sulla sostanza). Di conseguenza, la Svizzera non adotterà gli eventuali futuri sviluppi del diritto di Schengen che potrebbero compromettere il segreto bancario concernente le imposte dirette.” Nel frattempo, la Berna federale ha avuto modo di dimostrare “urbi et orbi” quanto gliene freghi del segreto bancario, ormai quasi del tutto sacrificato nella smania di accondiscendere a qualsiasi richiesta provenga dall’estero. E ancora:
“Ripercussioni finanziarie
Nei prossimi anni i costi di Schengen e Dublino ammonteranno per la Confederazione in media a 7,4 milioni di franchi all’anno. La collaborazione nel quadro della normativa di Dublino consentirà invece un sostanziale calo delle spese. Qualora la Svizzera non partecipasse all’Accordo di Dublino, bisognerebbe quindi attendersi costi supplementari per la Confederazione.” È notorio – e neppure il Consiglio federale osa negare questa evidenza – che i costi reali conseguenti all’accordo pesano sulla Svizzera nella misura di circa 100 milioni l’anno. Cento milioni di franchi che potrebbero essere più efficacemente investiti per un controllo autonomo e potenziato delle nostre frontiere.
Negli accordi bilaterali abbiamo incluso la libera circolazione delle persone, un altro errore madornale del quale – contro dei relativi vantaggi per l’imprenditoria – le conseguenze nefaste sull’impiego della manodopera indigena sono sotto gli occhi di tutti. Ora, se già abbiamo parecchi guai con la circolazione delle persone oneste, figuriamoci con quella dei criminali. Infatti, l’abolizione dei controlli alle frontiere ha di fatto permesso un andirivieni di turisti del crimine, messo in luce dalle statistiche criminali che ci rivelano come nel 2012, il 20% di tutti i reati penali risolti, è stato commesso da stranieri che non hanno il domicilio in Svizzera. In altre parole, ogni quinto delitto penale è perpetrato da persone che arrivano indisturbate attraverso la frontiera. E ai casi risolti considerati dalle statistiche, non sappiamo quanti siano quelli irrisolti, i cui autori se ne sono poi di nuovo usciti impunemente dalle stesse frontiere dalle quali erano entrati.
Ed è paradossale pretendere di aumentare la sicurezza in Svizzera eliminando i controlli personali ai nostri confini, per rafforzarli alle frontiere esterne dell’UE. Innanzitutto, possiamo immaginarci – con la corruzione istituzionalizzata in atto in certi paesi – che i criminali che vogliono venire a delinquere in Europa non avranno alcuna difficoltà a passare sotto gli occhi concilianti di funzionari i cui stipendi non li invitano certo a essere incorruttibili. In secondo luogo, anche ammesso che la cosa funzionasse, cosa importa alla Svizzera se i criminali uzbechi saranno fermati alla frontiera con l’UE, quando le razzie, spesso accompagnate da atti di violenza, nelle nostre fasce di frontiera sono perpetrate da bande di rumeni che sono già all’interno dello spazio UE?
Siamo quindi convinti che la Svizzera debba riprendere in mano la situazione e investire i suoi soldi in un controllo autonomo e possibilmente rafforzato dei suoi confini. E in questo senso va la petizione che lanciamo in occasione del congresso cantonale dell’UDC Ticino.
Perché una petizione?
Si sa che la petizione non è, degli interventi che la nostra democrazia diretta ci permette, quello più efficace, dato il suo carattere non vincolante. In altre parole, non ha la forza di un’iniziativa popolare, ne siamo ben coscienti. Abbiamo tuttavia optato per questa formula per diversi motivi:
1. La raccolta delle 100’000 firme necessarie per un’iniziativa popolare federale è praticamente possibile unicamente se la stessa è lanciata direttamente da un partito nazionale o da un’organizzazione potente e attiva su tutto il territorio. L’UDC Svizzera è attualmente impegnata su molteplici fronti (le tre votazioni del 24 novembre 2013, la sua iniziativa “contro l’immigrazione di massa” in votazione il 9 febbraio 2014, altre iniziative popolari attualmente allo studio), e non può impegnarsi in questo momento attivamente in una raccolta di firme, pur dando la sua benedizione a un’eventuale azione in questo senso da parte di una sezione cantonale.
2. Un’iniziativa popolare lanciata da una singola sezione cantonale del partito avrebbe però ben poche chance di successo a livello nazionale.
3. Una petizione offre invece diversi vantaggi: una maggiore facilità nella raccolta delle firme (infatti non devono essere raccolte separatamente per comune e a quest’ultimo inviate per la vidimazione), un’eco mediatica comunque sufficiente a segnalare a Berna la gravità di un problema del quale – essendo acuto soprattutto nelle regioni periferiche – non tutti i politici si rendono conto e, se corredata da un buon numero di sottoscrizioni, potrebbe fungere da pungolo per il lancio della più efficace iniziativa.
Raccomandiamo perciò ai nostri lettori – ma anche a tutti i Ticinesi – di firmare e far firmare il formulario della petizione (sullo stesso formulario possono firmare tutti, indipendentemente dal loro comune di domicilio), ritornandolo anche se solo riempito parzialmente a: Eros N. Mellini, C.P. 6193, 6901 Lugano.
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