Autorità ed elettori: la scollatura è sempre più marcata
Succede un po’ dappertutto nel mondo, ma da noi abbiamo il termometro della democrazia diretta che periodicamente, a ogni votazione popolare, ce lo dimostra. E gli esiti delle votazioni sono un altro termometro che misura il grado di una sempre crescente sfiducia dei cittadini nelle autorità. Se si guardano le proposte della Berna federale (quindi non le iniziative, ma solo i progetti di legge e i decreti federali) respinte in votazione popolare negli ultimi 20 anni, se ne sono registrate 21.
Anche a livello cantonale, siamo abituati a vedere bocciati dal popolo decreti e leggi aventi peraltro superato l’ostacolo del Parlamento, contro le quali viene lanciato il referendum. A mio avviso, questo fenomeno è dovuto soprattutto al fatto che, mentre a livello di Parlamento è relativamente facile costruire delle maggioranze a suon di compromessi – a volte senza curarsi troppo che denotino una certa tendenza alla prostituzione, quindi anche calpestando gli indirizzi ideologici del proprio partito in cambio del classico piatto di lenticchie “à la mode du chef” (nella fattispecie il noto Cordon bleu Esaù) – il compromesso è molto più difficile da far digerire ai cittadini votanti. Infatti, il “do ut des” fra 200, rispettivamente 46 deputati nazionali o fra 90 parlamentari cantonali si può trovare: io ti sostengo la tua proposta X, e tu mi dai il tuo voto per la mia proposta Y. Ma far capire a decine o centinaia di migliaia di cittadini che, per ottenere X devono votare Y contrariamente a tutte le loro convinzioni, specialmente se le due cose vengono presentate separatamente, credetemi, è quasi una “mission impossibile”.
Un esempio ticinese
E a volte, c’è anche chi ne approfitta per giocare sporco, come la sinistra nell’ultima votazione sulla “riformetta” sociale. Ricordate? Si è presentato in Parlamento un “pacchetto” che univa la riforma fiscale a delle misure sociali – quindi andando contro l’unità di materia stabilita dalla Costituzione perché si toccavano contemporaneamente leggi diverse – ottenendo una maggioranza in Gran Consiglio formata dal centro (sinistra moderata)-destra a favore della riforma fiscale, e dalla sinistra (estrema) a favore della riforma sociale. Risultato: il “pacchetto” è passato. Evviva, evviva dunque? No, non esattamente, perché i nostri “astutissimi” deputati hanno pensato bene di decidere, come l’unità di materia vuole, dapprima sulle misure sociali – che hanno superato senza problemi il termine di referendum – e poi, un mese dopo, la riforma fiscale. E qui, la subdola disponibilità della sinistra s’è trasformata da gustoso “tournedos à la Rossini” nel misero piatto di lenticchie. Infatti, passate le misure sociali concesse nell’operazione “do ut des” alla sinistra, quest’ultima non ha avuto alcuna remora a lanciare il referendum contro la parte a lei invisa del “pacchetto”. Poi il popolo ha confermato – seppure con pochi voti di scarto – l’accordo, ma c’è mancato poco.
E come la mettiamo a livello federale?
Il popolo svizzero ha già più volte espresso chiaramente come la pensi sull’UE: collaborazione e relazioni amichevoli sì, ma assolutamente nessun servile assoggettamento, nessun atteggiamento di sudditanza e assoluta difesa della nostra indipendenza e della nostra libertà. Ebbene, il popolo decide contro l’immigrazione di massa, per l’internamento a vita dei criminali pedofili, per l’espulsione automatica dei criminali violenti stranieri, eccetera, e Consiglio federale e Parlamento fanno l’esatto contrario unicamente per non irritare Bruxelles alla quale sono ormai asserviti. E, quello che è peggio, lo fanno consapevolmente. L’esempio più lampante è ovviamente la non-applicazione del 9 febbraio, ma anche l’accordo-quadro non è da meno. Quest’ultimo è già pronto da tempo ma, consapevoli che verrebbe asfaltato in votazione popolare, lo si tiene in un cassetto cercando disperatamente di trovare degli escamotage che gli diano qualche chance di superare l’ostacolo dello scrutinio popolare.
Adesso anche in campo comunale
Le votazioni sulla caserma di Losone e sul Parco nazionale del Locarnese hanno dimostrato questa scollatura anche a livello comunale. Sul reinsediamento di rifugiati nella ex-caserma di Losone, le autorità locali si erano quasi unanimemente schierate a favore. A loro onore, va il fatto di aver sottoposto alla popolazione la consultazione che, visto il risultato, speriamo le avrà convinte a fare un passo indietro al momento della decisione in Consiglio comunale. Resta il fatto che, anche qui, troviamo delle autorità che non sanno o non vogliono capire gli umori della popolazione
Idem per il Parco nazionale del Locarnese. “I sindaci del Locarnese non sono degli imbecilli” tuonava il sindaco di Centovalli nella sua risposta al Comitato NO al Parco, su questo stesso giornale lo scorso 18 maggio. Evidentemente non ci sogniamo di contraddirlo, tuttavia – visto che anche il suo comune è uno dei sei che hanno bocciato il progetto (e con il 54.47%) – un esamino di coscienza ci starebbe. Un progetto che le autorità affermavano “provenire dal basso” è stato “bocciato dal basso”. Dà da pensare, no?
Ma perché vengono rieletti?
La domanda è legittima e me la pongo da tanti anni senza trovare una risposta. Spesso, e ancora di più adesso con l’inflazione di network, per quattro anni la gente mugugna, critica e condanna l’operato dei deputati di qualsiasi livello, che poi però ritroviamo regolarmente al loro posto quattro anni dopo. Perché? Vien voglia di chiedersi, parafrasando il sindaco di Centovalli: “Ma gli elettori sono tutti degli imbecilli?” Mah, sarò diabolico, ma continuo a sperare di no.
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