A Zurigo “Tristano e Isotta” con grandi cantanti
Quando si dà il “Tristano e Isotta” con Nina Stemme, Stephen Gould, Michelle Breedt, Matti Salminen e John Lundgren, come ha fatto l’Opernhaus di Zurigo le scorse settimane, un viaggio nella città della Limmat diventa, per chi apprezza la musica di Wagner, quasi un obbligo. Il 1. febbraio ho adempiuto l’”obbligo”. Nina Stemme, una delle interpreti wagneriane più quotate del momento, possiede una voce superba, forte, larga, vibrante, capace di effettuare tanto le sottigliezze a fior di labbra quanto le grandi impennate e gli impeti, questi così necessari per il suo autorevole e impulsivo personaggio. Nonostante una certa stanchezza nell’ultimo atto la sua prestazione è stata di alto livello. Era affiancata dal tenore Stephen Gould, a sua volta un cantante wagneriano sulla cresta dell’onda, il quale ha impressionato per l’estensione, la forza e lo squillo dei suoi mezzi. Talvolta purtroppo, specialmente in zona acuta, li usa in modo grezzo, scagliando senza ritegno note potenti, penetranti e uniformi nel colore; dovrebbe invece ammorbidire gli attacchi, spingere meno la voce e differenziare maggiormente volumi e timbri. Certamente Wagner non è Puccini e Tristano non è Cavaradossi, ma non è neppure giusto conferire al protagonista toni supereroici. In ogni caso nel terzo atto, a voce calda, il Gould ha saputo convincere. Nei panni di Brangania ha cantato e agito Michelle Breedt. Il suo personaggio svolge la funzione importantissima di capovolgere il corso della vicenda mediante lo scambio dei filtri. Inoltre, con gli ammonimenti fuori scena durante il duetto dei protagonisti nel secondo atto, dà vita a uno degli episodi più affascinanti dell’opera. La Breedt è stata pienamente all’altezza del compito. Matti Salminen si è confermato il validissimo artista che conosciamo da innumerevoli presenze all’Opernhaus: nella sua interpretazione l’immensa tristezza del re, incapace di comprendere il comportamento di Tristano e in preda al disorientamento, è emersa parola per parola, anzi sillaba per sillaba, grazie alla dizione chiara e alle inflessioni espressive della voce ampia, fluente e generosa, come l’indole del personaggio richiedeva (ho scritto “re” per rispetto al librettista-compositore, anche se purtroppo nell’edizione zurighese dell’opera il personaggio è stato mutato in un esponente importante dell’alta società ai tempi di Wagner). John Lundgren, un Kurwenal bene in voce, esuberante e spavaldo come doveva essere, ha completato nel migliore dei modi il gruppo degli interpreti principali.
John Fiore ha guidato la Philharmonia Zürich con molti riguardi per i cantanti, i quali, essendo grossi calibri, in qualche punto l’hanno sopraffatta (come per esempio alla fine del primo atto, quando l’amore suscitato dal filtro infiamma i due protagonisti). Complessivamente il suo lavoro ha conseguito risultati dignitosi, specialmente nei momenti di riflessione o di intimità. Ottima è stata l’esecuzione del preludio, fin dalle prime note, quando il motivo della sofferenza (“Leidensmotiv”) è seguito dal motivo del filtro d’amore (“Sehnsuchtsmotiv”) e il cosiddetto accordo di Tristano, sulla cui incertezza tonale sono corsi fiumi di inchiostro, li salda strettamente; bravissimi, in orchestra, i violoncelli prima e gli oboi poi. Cito ancora il meraviglioso “tappeto” tutto morbidezza e velluto steso dall’orchestra sotto la fase estatica del duetto del secondo atto.
Il regista Claus Guth ha spostato l’azione in ambienti che richiamano gli interni della villa Wesendonck al tempo degli amori tra Wagner e la padrona di casa, con i soliti problemi di coerenza, stile nonché aderenza al testo e alla musica che sorgono quando, accodandosi alla moda attuale, si compiono operazioni di questo genere.
Concerti dell’Auditorio
La serie dei Concerti dell’Auditorio, partita molto felicemente con programmi interessanti e interpretazioni di alto livello, si à arricchita il 30 gennaio di una nuova perla.
Si è iniziato con “Blumine” di Mahler, un brano che faceva parte della prima sinfonia ma che il compositore le ha opportunamente sottratto. Effettivamente “Blumine” si inseriva male in quella sinfonia, sia per i contenuti sia per la scarsità dei valori artistici. La melodia principale, abbastanza gradevole, è affidata a una tromba e a Lugano la solista si è fatta apprezzare per il modo attento e sensibile in cui l’ha svolta.
Con il primo concerto per pianoforte e orchestra di Mendelssohn la stagione ha avuto nuovamente il merito di offrire un lavoro eseguito poco. L’avvio del “molto allegro con fuoco” è deciso, fiero, con interventi perentori sia dell’orchestra sia del solista, poi il discorso si calma e fa emergere un motivo di delicato lirismo. La conclusione è ancora dominata dagli impeti e dagli ardimenti finchè una fanfara pone fine improvvisamente al tempo e introduce senza pausa all’”andante”. Questo è dolce, intimo, a tratti struggente e costituisce la parte più pregevole del concerto. Ancora una fanfara irrompe nella composizione, assai brutalmente, distruggendo l’atmosfera d’incanto del tempo centrale per far posto a una girandola di note, a vertiginosi saliscendi del solista e alla gioia di vivere. Tutto sommato si può dire che Mendelssohn appare un poco velleitario quando, in parecchi episodi, particolarmente nel “molto allegro con fuoco”, persegue la drammaticità. È anche ingenuo quando crea a ogni costo occasioni di virtuosismo nel “molto allegro e vivace” finale. Ma nell’”andante” centrale raggiunge l’altitudine del capolavoro; basterebbe questo per giustificare l’inclusione del concerto nel repertorio corrente. Il pianista Jan Lisiecki, che l’ha interpretato a Lugano, possiede una tecnica formidabile. L’ha messa largamente a profitto nei passaggi drammatici e virtuosistici. Nei momenti di carattere lirico, quelli più congeniali a Mendelssohn, si è attenuto a una lettura mirabilmente composta, nitida e trasparente. Il che non vuol dire fredda. Anzi, il Lisiecki ha rivelato una sensibilità e una maturità straordinarie per un diciannovenne. Dopo la sua magistrale esecuzione è stato subissato di applausi.
Nella seconda parte si è ascoltata la quarta sinfonia di Schubert, detta “tragica”, e si direbbe che il direttore Constantinos Carydis abbia voluto giustificare quell’aggettivo, considerato da taluni, fatta eccezione per l’introduzione “adagio molto”, inappropriato. Infatti il Carydis ha dato alla sinfonia un tono di serietà e gravità non solo nel citato “adagio molto”, ma anche in parecchie altre parti della composizione. Per esempio il primo motivo dell’”allegro vivace” non è stato semplicemente una elegante espressione di energia, ma ha assunto un andamento ansioso e doloroso. In tutto il tempo la dinamica ha ricevuto forte rilievo. L’interpretazione dell’”andante” è andata oltre il puro lirismo per acquisire un carattere di forte desolazione. Insomma dalle mani del direttore la sinfonia è uscita con uno spessore che solitamente non le viene conferito. Irreprensibile, come di consueto, l’Orchestra della Svizzera italiana. Ancora una volta applausi molto intensi.
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Un concerto assai breve ma denso è stato quello del 6 febbraio, nel quale Mario Brunello, per questa stagione musicista in residenza, ha assunto la doppia veste di direttore e solista. In “Verklärte Nacht” di Schönberg ha lanciato l’orchestra, nei passaggi più animati, in sonorità taglienti, tese, a volte laceranti, inserendo una certa forzatura a scapito dell’atmosfera notturna che dovrebbe avvolgere tutta la composizione. In ogni caso la lettura del Brunello è stata accuratissima e la sezione archi dell’Orchestra della Svizzera italiana, messa di fronte a un compito molto arduo, lo ha assolto in modo più che onorevole.
Nel concerto per violoncello e orchestra di Schumann, eseguito nella seconda parte, il Brunello ha confermato la sua grande classe. Melodie plasmate con straordinaria intensità, suoni bellissimi e sfumature accattivanti, tra l’altro, hanno avvinto il pubblico. Valori espressivi notevoli sono emersi, non solo dal “nictht zu schnell” e dal “langsam”, ma anche dal “sehr lebhaft”, che grazie all’intelligenza e alla bravura del solista è stato molto più di una semplice corsa conclusiva a scopo virtuosistico.
Carlo Rezzonico
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