A Parma un nuovo modo di rappresentare le opere

Ott 21 • Prima Pagina, Sport e Cultura • 1725 Views • Commenti disabilitati su A Parma un nuovo modo di rappresentare le opere

Spazio musicale

È scontato che i libretti scritti per i melodrammi italiani della prima metà dell’Ottocento contengano qualche assurdità e qualche squilibrio. D’altro lato ebbero i pregi di una facile musicabilità e i loro difetti non impedirono la nascita di capolavori. Nel caso della “Giovanna d’Arco” di Temistocle Solera, tuttavia, la pletora di fatti soprannaturali, gli episodi inverosimili, la caratterizzazione approssimativa dei personaggi e la cattiva qualità linguistica erano tali da compromettere seriamente la buona riuscita di un’opera. Il trentaduenne Verdi tentò ugualmente l’avventura e par quasi un miracolo che, nonostante tutto, riuscisse a comporre parecchie pagine di valore. Certamente ascoltando la musica della “Giovanna d’Arco” occorre essere alquanto tolleranti. La fastidiosa presenza dei demoni, per esempio, fece scaturire dalla penna del Maestro musica mediocre. La zoppicante cabaletta del tenore nel prologo (“Pondo è letal”) avanza faticosamente alla ricerca di un impeto e una baldanza che non trova; sa di artificioso e rivela un vuoto nell’ispirazione. Si potrebbe continuare. D’altra parte, come detto, emergono anche pregi non trascurabili. Certamente la figura di Carlo è quella di un re scialbo e indeciso (vuole abdicare invece di combattere fino in fondo, nella scena cruciale non difende Giovanna perché non osa sfidare il popolo, chiede ai sudditi di ucciderlo ma, nessuno facendosi vivo per dar seguito al suo desiderio, non insiste e tira avanti subito) eppure Verdi arriva a conferirgli, qua e là, una certa sostanza. Accade nel duetto del primo atto con Giovanna quando il sovrano cerca di aiutare l’eroina a superare l’abbattimento causato dall’ammonimento degli angeli con le parole “È puro l’aere, limpido il cielo / siccome il velo di nostra fè” e la sua voce si espande in una voluta melodica tutta amore e tutta attenzione per la donna amata. Abbastanza ben definito è il personaggio di Giacomo, il padre della protagonista, uomo incredibilmente duro e inflessibile, che troppo tardi si avvede del suo errore; però in qualche punto, come nell’aria “Franco son io”, riesce pur sempre a commuovere.  E Giovanna? Direi che musicalmente trova i momenti migliori nei passaggi lirici più che in quelli drammatici e tocca un vertice nella scena finale dove, benchè già annunciata come morta, “levasi dritta, e si muove come investita da forza soprannaturale” (così dice la didascalia del libretto), esprimendosi con accenti non solo toccanti ma anche altamente spirituali, prima nel sobrio scambio di battute con Carlo e Giacomo, poi nel concertato che chiude l’opera.

 

A Parma “Giovanna d’Arco” è andata in scena nel quadro del Festival Verdi in una veste visiva affatto speciale. Lo spettacolo è stato ospitato nell’imponente Teatro Farnese utilizzato, per così dire, alla rovescia. Gli esecutori infatti sono stati collocati nella parte opposta al palcoscenico, in fondo alla sala, i cantanti su una piccola piattaforma circolare, l’orchestra attorno alla piattaforma stessa e il coro, che era numerosissimo, lungo il perimetro del teatro o in basso, accanto agli strumentisti. Per il pubblico si è allestita una gradinata (ben inclinata e assai comoda) che partendo da quello che era il palcoscenico, rimasto vuoto, scendeva fin verso la pedana circolare e l’orchestra. Ma l’aspetto più particolare dell’allestimento è consistito nella proiezione tra gli archi della sala situati sopra gli esecutori di immagini colorate aventi riferimenti con la vicenda o con i personaggi, alcune volte con effetti molto suggestivi. In una impresa di questo genere il pericolo dell’eccesso è sempre in agguato e aspetti validi si sono alternati con altri meno indovinati. Bellissima è stata la proiezione di capolavori pittorici aventi come soggetto la Madonna. Grande effetto hanno prodotto le fiamme dirompenti mentre Giacomo riferisce sulla battaglia finale. Ma non mi sono piaciute le immagini disparate mostrate a ritmo velocissimo durante la  scena finale, che invece avrebbe dovuto mantenere il carattere di un’alta spiritualità. La regia era di Saskia  Boddeke e Peter Greenaway.

 

E Giuseppe Verdi? C’era anche lui e non si è lasciato sommergere dall’abbondanza visiva. Siano rese grazie al direttore Ramon Tebar, che è riuscito nel non facile compito di coordinare esecutori posti in luoghi assai inusuali e talvolta anche lontani tra di loro. Bene ha suonato l’orchestra “I Virtuosi italiani”. Il coro, istruito da Martino Faggiani, ha dato piena soddisfazione. Da ultimo sia lodata una compagnia di canto giovane ma preparata a dovere e in ottima forma. Comprendeva per le parti principali Luciano Ganci (Carlo), Vittorio Vitelli (Giacomo), Vittoria Yeo (Giovanna): sono tutti da ricordare perché a loro potrebbe schiudersi una bella carriera.

 

“Così fan tutte” a Como

 

Con “Così fan tutte”, andata in scena il 6 ottobre come spettacolo inaugurale della stagione 2016/2017, il Teatro Sociale di Como si è lanciato in un esperimento singolare. Ha reclutato venti ragazze e venti ragazzi, li ha istruiti durante alcuni mesi e li ha mandati in scena, in normali abiti giovanili del nostro tempo, per assistere agli avvenimenti e commentarli con gesti. È stata una iniziativa simpatica e opportuna: simpatica, come tutto ciò che fa partecipare attivamente la gioventù ad eventi validi, opportuna perché questa è sicuramente una via efficace per richiamare l’attenzione delle nuove generazioni sul melodramma e magari attirarla più spesso in teatro.

 

Va però aggiunto subito che Francesco Micheli come regista ed Eleonora Moro come responsabile di quello che il programma di sala chiama “Training e Laboratori teatrali” si sono spinti oltre i limiti. “Così fan tutte” racconta la storia di uno scherzo divertente e innocuo. È un lavoro agile e sciolto, con deliziose simmetrie e deliziosi equilibri. Inoltre, fatto importante, include alcuni passaggi seri e espressioni di sentimenti profondi. La presenza costante del folto gruppo di ragazze e ragazzi ha appesantito l’opera e in qualche punto, specialmente all’inizio, ha confuso l’azione; peggio quando, come nel finale primo, la regia è scaduta nella baraonda e nella volgarità. Innovare   e cercare l’avvicinamento con i giovani sta bene, però con misura e senza dimenticare completamente che la musica di Mozart si ispira sempre a moderazione, trasparenza e rispetto delle proporzioni.

 

Sul piano musicale ci sono da distribuire molti elogi. Gioia Crepaldi e Victoria Yarovaya hanno buone voci e si sono disimpegnate più che lodevolmente come Fiordiligi rispettivamente Dorabella. Una Despina vivacissima è stata Barbara Massaro, che oltre a pregevoli mezzi vocali possiede un autentico estro comico. In “Così fan tutte” Don Alfonso è il motore dell’azione: Andrea Porta ha adempiuto molto bene il suo compito. Decorose sono state le prestazioni di Pablo Galvez come Guglielmo e Matteo Mezzaro come Ferrando (però questi, in “Un’aura amorosa”, una delle arie più belle di Mozart, non ha saputo trovare quel tono dolce e nostalgico che le appartiene). Il direttore Gianluca Capuano e l’Orchestra I pomeriggi musicali di Milano hanno acquisito qualità a mano a mano che lo spettacolo avanzava, pervenendo, specialmente nel secondo atto, a momenti di grande bellezza con affascinanti velluti sonori, accattivanti “pianissimo” che parevano sussurri e preziose filigrane.

 

Pubblico molto numeroso e, in buona parte, elegante e attento.

 

Carlo Rezzonico

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